Abbattuto il muro ora si prova a fare luce fino in fondo sulla vicenda di Stefano Cucchi. E così tra gli indagati nel nuovo filone di indagini finiscono per il momento altri due carabinieri. Mentre Ilaria Cucchi, ai microfoni di Rtl 102.5 durante Non Stop News, all’invito di Salvini replica: «Il giorno in cui il ministro dell’Interno chiederà scusa a me, alla mia famiglia e a Stefano allora potrò pensare di andare al Viminale, prima di allora non credo proprio». Sugli sviluppi della vicenda la sorella della vittima ha poi detto: «Apprendo che il carabiniere Tedesco denunciò fin da subito quello di cui era a conoscenza. Lui fece una chiara denuncia scritta, che sembra poi essere sparita. Se mi si chiede per quale motivo questa persona parla dopo 9 anni, chiaramente io non posso giustificarlo ma posso comprenderlo: vedo quello che sta subendo il suo collega Riccardo Casamassima, un altro carabiniere che ha denunciato ciò di cui era a conoscenza, che ha contribuito al fatto che si riaprissero le indagini, quelle vere, sulla morte di mio fratello e che adesso viene penalizzato dai suoi superiori».

Intanto la prossima settimana in Procura sarà sentito il luogotenente Massimiliano Colombo, comandante della stazione di Tor Sapienza, dove venne portato Stefano Cucchi dopo l’arresto per droga e il pestaggio che avrebbe subito alla stazione Casilina la notte tra il 15 e il 16 ottobre del 2009. Colombo, indagato per falso ideologico e perquisito nei giorni scorsi, viene sentito dopo essere stato tirato in ballo indirettamente da Francesco Di Sano, carabiniere scelto della caserma di Tor Sapienza. Nella testimonianza resa in Corte d’assise il 17 aprile scorso nel processo principale a cinque militari dell’Arma che rispondono di omicidio preterintenzionale, falso e calunnia, a proposito delle due false annotazioni di servizio sullo stato di salute del geometra 31enne ( morto il 22 ottobre 2009 all’ospedale Pertini) Di Sano ha ammesso di aver dovuto ritoccare il verbale senza precisare da chi gli fu sollecitata la modifica. «Certo il nostro primo rapporto è con il comandante della stazione, ma posso dire che si è trattato di un ordine gerarchico», ha spiegato quel giorno in aula Di Sano che poi è stato iscritto sul registro degli indagati per falso. E in quella stessa udienza anche il piantone Gianluca Colicchio, che subentrò a Di Sano nella custodia di Cucchi, ha parlato di anomalie in una relazione di servizio ( «è strana, porta la mia firma ma io non la ricordo e contiene termini che io non uso» ). Dalle parole di Colombo potrebbe dipendere il destino degli ufficiali più alti in grado che all’epoca acquisirono informazioni sul caso Cucchi senza adottare poi alcun provvedimento. Dall’istruttoria dibattimentale, infatti, è già emerso che i vertici dell’Arma erano a conoscenza del pestaggio subito da Cucchi ben prima che il caso finisse all’attenzione della magistratura e della stampa. Chi indaga vuole capire se gli stessi vertici si siano adoperati in qualche modo per far sì che della vicenda venisse veicolata una versione soft nelle varie informative destinate all’autorità giudiziaria.

Sulla vicenda Cucchi il Comitato europeo per la Prevenzione della tortura, del quale la dirigente radicale Elisabetta Zamparutti è membro, nel suo rapporto integrativo sulla visita ad hoc in Italia del 2010 era giunto a conclusioni preliminari molto simili ( se non identiche) a quelle che si stanno delineando. Dopo aver infatti descritto tutta la vicenda, il Cpt osserva che «nell’indagine conclusasi nell’aprile 2010, l’ufficio del procuratore ha prestato più attenzione alle responsabilità del personale penitenziario presso la corte di Roma e a quello medico dell’Ospedale Sandro Pertini. Al termine dell’indagine, si è escluso qualsiasi coinvolgimento dei Carabinieri nel maltrattamento a cui è stato sottoposto il detenuto deceduto. Tuttavia, alcuni elementi del fascicolo giudiziario indicano un possibile coinvolgimento dei Carabinieri: in particolare la versione fornita dai Carabinieri delle condizioni fisiche del detenuto, nello specifico circa la sua capacità di muoversi». Proprio per questo, il Comitato europeo per la Prevenzione concludeva chiedendo al governo italiano di essere «informato sulle ragioni per cui nel corso delle indagini si è lasciata cadere l’ipotesi che il maltrattamento potesse essere stato inflitto prima che il detenuto arrivasse alla corte». E alla domanda se il governo italiano, dal 2010 ad oggi, ha mai dato seguito alla richiesta di chiarimenti da parte del Cpt in merito alla vicenda, Elisabetta Zamparutti ha risposto di no.