Il 13 di agosto/ in una notte scura/ commisero un delitto/ gli agenti di questura. Hanno ammazzato un angelo/ di nome la Rosetta/ era di piazza Vetra/ battea alla colonnetta.La storia di Rosetta, vittima dell'ingiustizia nel 1913, si intreccia con quella di Gian Giacomo Mora e Guglielmo Piazza, vittime dell'ingiustizia nel 1630. Il teatro è lo stesso, la zona di piazza Vetra, centro di Milano, dove esiste ancora la casa di Mora (che dà il nome alla minuscola via dove lui abitava), dove fu eretta la "Colonna infame" e, tre secoli dopo, In ricordo del fattaccio, "la colonnetta", che forse era una scultura o forse un'osteria. Fatto sta che Rosetta, una giovane prostituta molto apprezzata nel quartiere, svolgeva la sua attività proprio lì, davanti alla casa di Gian Giacomo Mora.Agli inizi del novecento piazza Vetra era l'epicentro di tutta la mala milanese, la "ligera", un quartiere malfamato ricco di osterie e bordelli, con le sue regole e i suoi codici. La morte di una prostituta non era fatto che potesse passare inosservato, e quella di Rosetta non lo fu. Anche perché numerosi testimoni avevano assistito al pestaggio cui la ragazza, insieme ad altri, era stata sottoposta da parte della polizia, e la stessa Rosetta, prima di morire, era riuscita a bisbigliare "mi hanno ammazzato". Ma, come spesso succedeva e ancora succede, prevalse la tesi di questura che parlava di suicidio con veleno, benché la lavanda gastrica non ne rivelasse alcuna presenza, e benché il funerale sia stato poi celebrato da un sacerdote.Migliaia di persone affollarono l'obitorio, quel giorno, e fu difficile mantenere l'ordine. Il funerale di Rosetta fu quanto di più scenografico si possa immaginare, con tutti gli uomini della mala vestiti in nero e le prostitute vestite in bianco. E la storia di Rosetta entrò in ogni narrazione, in ogni ballata della mala, celebrate da cantori famosi come Nanni Svampa e i Gufi o Milly.Ma, benché storia milanese, una vicenda di tale palese ingiustizia non poteva passare inosservata a un siciliano attento come Leonardo Sciascia, che in due libri e un articolo sul Corriere della sera all'inizio degli anni ottanta ricostruì la storia come delitto di polizia. Lo fece con una ricostruzione attenta tramite gli archivi dell'"Avanti", del "Corriere" e numerose testimonianze.E la raccontò così. Il vero nome di Rosetta era Elvira Andrezzi, anni 19. La sera del 26 agosto (la data non coincide con quella della vulgata popolare) fu ricoverata all'ospedale di Niguarda, dove morì la mattina dopo. Non per suicidio, ma per le botte della polizia.La sera prima Rosetta, due amiche e quattro clienti, camminavano nella zona di piazza Vetra quando vengono fermati da un gruppo di poliziotti e invitati a "circolare". Al loro rifiuto gli agenti chiamano rinforzi e arriva un'altra ventina di colleghi che si accanisce sui malcapitati con calci e pugni. Rosetta viene colpita alla testa e al petto, cade a terra e batte il capo. Tra i più accaniti suoi persecutori pare ci fosse tal questurino Musti, calabrese o napoletano (il peggio, per i malavitosi locali) innamorato respinto dalla ragazza. Ma la vicenda finirà con i tanti testimoni affacciati alle finestre che vengono minacciati, e il giorno dopo una retata con molti arresti chiuderà la bocca a qualsiasi tentativo di testimonianza.La verità di Sciascia sulla Rosetta che "battea alla colonnetta" arriva 70 anni dopo il suo omicidio, così come ce ne erano voluti 150 perché venisse abbattuta la vergogna della "colonna infame" e degli altri due omicidi di Stato.