Non capita mai. Non è semplicemente raro: è proprio un inedito. Perché il processo è una dialettica fra parti. Sempre. Anche dinanzi alla Corte costituzionale. Dove le parti sono i cittadini che si ritengono danneggiati dalle norme, difesi dai loro avvocati, e — contrapposto a loro — lo Stato. Difeso dalla propria avvocatura. Ebbene, nell’udienza tenuta ieri dinanzi alla Consulta sulla possibile incostituzionalità della legge “spazza corrotti” si è realizzata invece una clamorosa sintonia fra difensori dei cittadini e difensore della “autorità”, che riempie d’orgoglio la professione forense: il rappresentante dell’avvocatura di Stato Massimo Giannuzzi ha pienamente condiviso con i suoi colleghi del libero Foro la tesi della irretroattività delle norme sull’esecuzione penale, e in particolare della “spazza corrotti”, quando «incidono sul godimento della libertà personale».

Sono norme di diritto «sostanziale», non «processuale». E la conseguente impossibilità di negare i benefici penitenziari per i reati commessi prima dell’entrata in vigore della “spazza corrotti” sembra ora a un passo dall’essere sancita dalla Consulta.

Da ieri di fatto è aperta una specie di unica udienza fiume sulla stessa materia. Al giudice delle leggi è sottoposta la questione di legittimità relativa alla mancanza di un «regime transitorio» di applicazione delle norme sul carcere contenute in quella legge, lacuna rilevata da una decina di Tribunali. Ma il 25 e 26 febbraio prossimi le stesse disposizioni saranno esaminate non sotto il profilo della loro contestata retroattività, ma addirittura della ragionevolezza ( come riportato anche in altro servizio, ndr). E proprio per tale “continuità”, la Corte costituzionale potrebbe decidere di non emettere oggi la sentenza, ma di attendere quell’ulteriore esame per pronunciarsi in una volta sola su tutti i possibili profili di illegittimità della spazza corrotti. Intanto, rispetto alla retroattività, la presidente Marta Cartabia, il giudice relatore Francesco Viganò e gli altri componenti della Consulta hanno assistito ieri mattina allo straordinario coraggio dell’avvocato dello Stato Giannuzzi. Presa la parola dopo i colleghi del Foro, ha condiviso «le loro argomentazioni» : le disposizioni della “spazza corrotti” che precludono le misure alternative al carcere per i reati contro la Pa «devono essere interpretate nel senso della non retroattività». Giannuzzi arriva a definire «magistrale» l’intervento «di Vittorio Manes», il professore di Diritto penale dell’università di Bologna che “guida” il pool di difensori intervenuti in udienza: «Va superato l’approccio formalistico del passato». Fino a una frase che resterà scolpita negli annali della Corte: «In una materia del genere», quella appunto della libertà personale, «si deve tener conto non solo del punto di vista dell’autorità», ossia del legislatore, «ce lo impone lo Stato di diritto: credo», incalza Giannuzzi, «sia doveroso da parte nostra». “Nostra” di avvocati dello Stato.

La Consulta potrebbe decidere oggi o a fine mese. Tecnicamente potrebbe optare per la soluzione proposta dall’avvocatura dello Stato e ritenuta plausibile anche da Manes, dal presidente dell’Unione Camere penali Gian Domenico Caiazza — anche lui nel “pool” — e dagli avvocati Amilcare Tana, Tommaso Bortoluzzi e Ladislao Massari: una «sentenza interpretativa di rigetto». Vuol dire che formalmente il giudice delle leggi non dichiara incostituzionale quella parte della “spazza corrotti” ( l’articolo 1, comma 6, lettera b), ma la interpreta nel senso che non può essere retroattiva. Non può applicarsi, cioè, ai fatti commessi prima che la “spazza corrotti” entrasse in vigore, prima del 31 gennaio 2019. Ovvio che tutti i processi nei quali sono state sollevate le eccezioni finite ieri davanti alla Corte riguardino reati contestati diversi anni prima che i 5 Stelle andassero al governo.

Dopo l’introduzione del giudice relatore Viganò, è proprio Manes a parlare di «decisione cruciale per la tenuta dello stato di diritto di fronte all’arbitrio punitivo dello Stato». Il quale, ha ricordato l’avvocato e professore dell’università di Bologna, «non può cambiare le carte in tavola a sorpresa», tanto da «realizzare un cambio di scenario improvviso, per chi aveva la ragionevole previsione di accedere alle misure alternative al carcere». Va perciò «esteso il principio di irretroattività», altrimenti il «cittadino sarebbe un suddito assoggettato all’arbitrio dello Stato leviatano». Concetto che Giannuzzi riprenderà testualmente. Ma l’avvocato dello Stato riconosce come «preziose» le considerazioni svolte da tutti i colleghi del Foro. Come l’osservazione con cui Caiazza stana una contraddizione fatale della norma incriminata: per cogliere l’illegittimità dei suoi effetti retroattivi «basti pensare alla deroga al regime ostativo determinata dalla collaborazione con l’autorità giudiziaria, che l’imputato non aveva motivo di prendere in considerazione prima dell’entrata in vigore delle nuove norme, con conseguenze a dir poco beffarde». Verissimo, perché come per mafiosi e terroristi, anche il colpevole di corruzione ( o addirittura di peculato), in virtù della “spazza corrotti”, poteva accedere alle misure alternative solo a condizione di “pentirsi” ( ipotesi poi disossata dalla storica pronuncia della Consulta sul 4 bis). Gli avvocati Tana, Bortoluzzi e Massari ricordano a loro volta che «i benefici penitenziari non costituiscono alternative alla pena ma pene alternative al carcere». Concetto sempre negato nei fatti dai 5 Stelle, così orgogliosi della loro “spazza corrotti”.