Tra i pericolosi veleni diffusi dal Coronavirus ho colto una proposta particolarmente malsana e inquietante, che si riflette negativamente sulla moralità, la ragionevolezza e la credibilità delle risposte alla pandemia. Tra altre sortite piuttosto infelici, alcune riferite alla specifica situazione italiana, la Presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen ha proposto la segregazione in casa degli anziani, se ho ben capito, sino alla fine dell’anno. Anziani segregati solo per via dell’età: il nuovo razzismo.

Quindi ben oltre il prevedibile picco della pandemia, con il pretesto di apprestare una più forte tutela di una categoria di soggetti ritenuti particolarmente vulnerabili. Con stupore ho rilevato che nel dibattito che ne è seguito la proposta ha incontrato non poche adesioni, peraltro prive di qualsiasi evidenza scientifica dei rapporti tra mera anzianità e vulnerabilità al contagio. Tale è la confusione e lo sconcerto di fronte alla aggressività e alla diffusione del coronavirus che anche una proposta che comporterebbe la sostanziale morte civile di un’intera categoria di cittadini, individuata esclusivamente in relazione al dato astratto dell’età, rischia di entrare nel novero delle possibili risposte alla pandemia.

Uno dei punti di forza della reazione al coronavirus è stato ed è tuttora l’atteggiamento del popolo italiano, che sta affrontando con grande senso di responsabilità e consapevolezza della gravità della situazione le restrizioni imposte all’esercizio di numerosi diritti costituzionali, tra cui in primo luogo la libertà di circolazione. Tanto è vero che il Presidente Mattarella, che si è più volte appellato ai valori dell’unità e della solidarietà quali presupposti di una efficace risposta al coronavirus, ha ripetutamente riconosciuto che tali valori sono condivisi dalla stragrande maggioranza della popolazione.

Ebbene, la creazione artificiale e astratta di una categoria di cittadini “diversi” a cagione del solo dato dell’età violerebbe palesemente i fondamentali valori dell’unità e della solidarietà. In realtà dietro la dichiarata intenzione di predisporre una speciale tutela per gli anziani si cela la convinzione che gli anziani siano di per sé, per il solo dato dell’età, potenziali portatori e diffusori del virus, a prescindere dalle loro effettive condizioni di salute: con il pretesto di difendere la sua vulnerabilità, in realtà l’anziano viene minacciato di totale isolamento per una supposta maggiore pericolosità.

Bisogna stare molto attenti perché la proposta, oltre a scalzare i valori dell’unità e della solidarietà, riecheggia metodi che richiamano le dinamiche del razzismo: quelli che sino a ieri erano cittadini come tutti gli altri diventerebbero “diversi”, come da un giorno all’altro lo furono gli ebrei dopo le leggi razziali del 1938. Tutti gli anziani sarebbero relegati in casa e destinatari del divieto di circolazione per il solo fatto di avere più di 65/ 70 anni, a prescindere dal loro effettivo stato di salute. Ecco il punto: vi sono anziani che malgrado l’età sono perfettamente sani e, in quanto tali, non sono di per sé più vulnerabili di un giovane; al contrario, vi possono essere giovani affetti da malattie gravi che li rendono particolarmente vulnerabili e quindi potenziali propagatori del contagio. Disporre misure limitatrici per una categoria di soggetti individuati solo sulla base dell’età determinerebbe anche una palese violazione del principio costituzionale di eguaglianza. Nell’epoca del coronavirus l’anziano e il giovane non affetti da alcuna morbilità sarebbero destinatari di un trattamento diverso, in quanto solo il primo verrebbe confinato in casa e privato del diritto alla libera circolazione.

Alla faccia dei valori dell’unità e della solidarietà gli anziani diverrebbero una categoria di soggetti “diversi”, di per sé sospetti di essere contagiabili o contagiati, sì che, se un anziano avesse l’ardire di mostrarsi in strada, potrebbe essere considerato e trattato alla stregua degli “untori” della peste di manzoniana memoria.

Ma allora eravamo alla metà del ‘ Seicento, un secolo che, quanto alla risposta alle epidemie, abbiamo sempre ritenuto essere governato da superstizioni e ignoranza.