Niente libertà anticipata speciale, ma semplificazione della misura già esistente e licenza ai semiliberi fino al 30 giugno. Sono queste le misure deflattive- inserite del decretone - per ridurre il sovraffollamento penitenziario in maniera tale da facilitare le misure sanitarie in caso di coronavirus in carcere. Si recupera così il modello già sperimentato con la legge 26 novembre 2010 n. 199, che già prevede la possibilità di eseguire ai domiciliari le pene detentive di durata non superiore a diciotto mesi. Parliamo della misura, che però – se utilizzata in maniera ottimale dai magistrati di sorveglianza - farebbe uscire dal carcere circa 3000 detenuti.

In che maniera si semplificherebbe la procedura? Si è previsto che la direzione dell'istituto non debba trasmettere al magistrato di sorveglianza una relazione sulla condotta tenuta durante la detenzione ( come previsto dalla legge n. 199 del 2010), ma che debba solo indicare il luogo esterno di detenzione ( abitazione o altro luogo pubblico o privato di cura, assistenza e accoglienza), dopo aver previamente verificato la sua idoneità. L’eliminazione della relazione sul complessivo comportamento tenuto dal condannato durante la detenzione è dovuta alla necessità di semplificare gli incombenti, ma anche alla considerazione che gli unici elementi rilevanti ( che infatti debbono essere comunicati al magistrato di sorveglianza) sono quelli indicati come preclusivi dal comma 1, tra i quali vi sono anche aspetti rilevanti circa il comportamento tenuto in carcere: ossia l’essere sottoposti al regime di sorveglianza particolare o l’essere destinatari di un procedimento disciplinare per alcune violazioni specifiche, nonché l’aver preso parte ai tumulti e alle sommesse verificatesi negli istituti penitenziari.

Poi c’è il caso in cui è il pubblico ministero – colui che ha emesso l'ordine di carcerazione non ancora eseguito - a dover trasmettere al magistrato di sorveglianza gli atti del fascicolo dell'esecuzione ( sentenza, ordine di esecuzione, decreto di sospensione), oltre che il verbale di accertamento dell'idoneità del domicilio. Il magistrato di sorveglianza, inoltre, ( come già previsto dalla legge) provvede con ordinanza adottata in camera di consiglio, senza la presenza delle parti ( articolo 69- bis della legge n. 354 del 1975), con riduzione del termine per decidere a cinque giorni. Quindi, la cancelleria dell'ufficio di sorveglianza, entro quarantotto ore, comunica l'ordinanza all'istituto, che provvede all'esecuzione, nonché all'ufficio locale di esecuzione penale esterna e alla questura competenti per territorio. Questa procedura a contraddittorio differito, in cui l'ordinanza è notificata al condannato o al difensore e comunicata al procuratore generale della Repubblica, i quali entro dieci giorni dalla comunicazione possono proporre reclamo al tribunale di sorveglianza, assicura decisioni più celeri.

Rimane la preclusione per chi ha commesso reati ostativi. In compenso, alla luce dell’esperienza maturata nel corso dell’applicazione della legge 199 del 2010, sono stati esclusi quali elementi preclusivi per l’accesso alla detenzione domiciliare, il fatto che vi sia “la concreta possibilità che il condannato possa darsi alla fuga” ovvero il fatto che sussistano “specifiche e motivate ragioni per ritenere che il condannato possa commettere altri delitti”. La ragione di questa scelta è che si tratta di due presupposti che limita l’utilizzo dell’istituto e che in questa fase di urgenza sono di complesso accertamento.

L’altra misura riguarda la durata delle licenze concesse al condannato ammesso al regime di semilibertà: può essere prorogata fino al 30 giugno 2020. Si consente che l’estensione temporale delle licenze godute possa eccedere l’ordinario ammontare di quarantacinque giorni già previsto.

Sono misure che però rischiano di non riuscire ad alleggerire i penitenziari come prefissato. Si riuscirà a far fronte ad una eventuale emergenza?