Il 30 aprile 1975, le truppe nord-vietnamite invadono Saigon, l’esercito del Sud si arrende e per il Vietnam inizia una nuova era dopo quasi vent’anni di guerra. L'immagine simbolo di questo epilogo drammatico per gli Stati Uniti è la fuga precipitosa dei soldati americani e dei funzionari prelevati sul tetto dell'ambasciata Usa da un elicottero. La rappresentazione plastica di una sconfitta che viene ricordata ancora dopo cinquant'anni come uno spartiacque della storia moderna degli Stati Uniti.

Forse è proprio in quella data che si è aperta una ferita che, a ben vedere, continua a sanguinare con forza erodendo ancora oggi l'immagine degli Stati Uniti come gendarme e player del mondo.

La guerra del Vietnam ha sgretolato l’idea dell’America prima e invincibile potenza militare del pianeta ed è allo stesso tempo un modello di come si combatte un conflitto asimmetrico contro un nemico sulla carte più forte. Un piccolo paese contadino del sud est asiatico è riuscito a sconfiggere una potenza economica e militare enorme, la più grande della storia, che nonostante risorse enormi investite, truppe e tecnologia d’avanguardia, fallì miseramente. Non bastarono bombardamenti a tappeto, operazioni segrete e oltre mezzo milione di soldati dispiegati nella giungla, Washington non riuscì a piegare la resistenza locale, la disciplina quasi disumana dei combattenti vietcong, «avversari formidabili» come ammisero gli stessi ufficiali statunitensi. Venne in questo modo segnato il limite della potenza militare, e allo stesso risultò determinante la forza dell’opinione pubblica interna in un mondo nel quale non esisteva ancora Internet e le notizie di guerra venivano minuziosamente passate al setaccio della censura.

La guerra ebbe la sua origine all'indomani della sconfitta giapponese nella seconda guerra mondiale, in Vietnam, ex colonia francese, emerse un movimento rivoluzionario guidato da Ho Chi Minh. L'obiettivo era quello di mettere fine ai crimini del colonialismo, scolarizzare il paese, una tassazione giusta e soprattutto l'eliminazione della povertà e delle carestie. Le potenze occidentali, Gran Bretagna, Francia e Stati Uniti, immerse nel clima della guerra fredda e preoccupate dell'influenza sovietica, si opposero all’indipendenza del Vietnam. A niente valsero gli appelli di Ho Chi Minh al presidente Truman e all’Onu, gli Stati Uniti così sostennero i francesi, finanziando l’80% dello sforzo bellico coloniale.

L'esercito di Parigi però fu clamorosamente sconfitto nel 1954, nella battaglia Dien Bien Phu. I seguenti accordi di Ginevra prevedevano elezioni per un Vietnam unificato. Washington, temendo una vittoria comunista agì installando il regime autoritario di Ngo Dinh Diem nel Sud. La natura di questo governo, corrotto e senza il sostegno popolare, favorì la crescita del Fronte di liberazione nazionale (Fln), sostenuto da Hanoi, nel Nord.

Durante la presidenza Kennedy e poi quella di Johnson, gli Stati Uniti aumentarono la partecipazione diretta bellica, all'inizio con numerosi consiglieri militari per arrivare nel 1968 all'invio di oltre 500 mila soldati. Né i bombardamenti massicci, né operazioni speciali minarono pero il sostegno popolare di cui godeva il Fln. Anzi i vietcong con l’offensiva del Tet dimostrarono che nessuna città era veramente al sicuro. Un colpo in pieno viso per gli statunitensi, e soprattutto una svolta nella percezione del conflitto.

Il risultato piu diretto fu l'opposizione alla guerra all'interno degli Usa, si passò dalle piccole proteste a quelle di massa. Il 15 ottobre 1969 due milioni di statunitensi scesero in piazza in tutto il paese. Ci furono manifestazioni in 232 università, con migliaia di arresti. Ma fu nel 1970, quando Richard Nixon, ordinò l'invasione della Cambogia che alla Kent State University, la Guardia nazionale uccise quattro studenti. parallelamente la renitenza alla leva, con le cartoline militari date alle fiamme, aumentò considerevolmente. Sul campo invece si registrarono diserzioni di massa e la diffusione a macchia d'olio di sostanze stupefacenti tra i soldati.

Nel 1973 furono firmati gli Accordi di Parigi, che coinvolgevano il Vietnam del Nord, il Vietnam del Sud, il Vietcong e gli Stati Uniti. Questi ultimi minacciarono il Sud che se si fosse opposto alla trattativa avrebbero ritirato il loro appoggio militare. Thieu e il suo governo si sentirono traditi ma accettarono di firmare consci che non sarebbero sopravvissuti senza gli americani. Tuttavia, l'accordo non portò stabilità, due anni dopo le truppe nordvietnamite invasero Saigon e il 2 luglio il Vietnam fu unificato sotto il governo comunista di Hanoi.