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Dopo sei giorni di bombardamenti israeliani su Teheran e altri obiettivi militari e strategici del regime iraniano, la Guida Suprema Ali Khamenei, tra i principali obiettivi dell’offensiva Rising lyon, è riapparsa in pubblico. Lo ha fatto con un messaggio diffuso dalla tv di Stato e trasmesso da un luogo segreto, probabilmente un bunker nella regione di Teheran.
La messa in scena è quella di sempre: voce stentorea, toni religiosi, appelli al sacrificio. Ma il contesto è radicalmente cambiato. Perché oggi Khamenei parla da uomo braccato, con lo spettro dell’entrata in guerra del “grande Satana” statunitense. «Gli americani sappiano che l’Iran non si arrenderà mai, e che qualsiasi intervento da parte loro gli causerà danni irreparabili», ha tuonato il leader, in un esercizio retorico che sembra guardare più al passato che al futuro. Parole che suonano come una replica obbligata, quasi rituale, alle dichiarazioni del presidente americano Donald Trump, che solo ventiquattr’ore prima aveva invocato via social la «resa incondizionata» di Teheran e che ha lanciato «l’ultimo ultimatum» perché l’Iran deponga le armi.
In apparenza, la voce di Khamenei resta quella di sempre: accusa Israele di aver «commesso un errore enorme»; assicura che l’attacco «sarà punito»; definisce «assurda» la retorica americana; e proclama che «la nazione iraniana non ha paura». Ma dietro questa granitica rappresentazione della fermezza si intravede la paura per la tenuta stessa del regime mai così vicino all’implosione in 46 anni di storia.
L’Iran è stato colpito duramente. Le forze armate israeliane hanno distrutto radar, basi missilistiche e impianti connessi al programma nucleare. È vero che dal punto di vista militare Teheran sembra ancora in grado di reagire con copiosi lanci di missili balistici capaci in minima parte di “perforare” Iron dome, lo scudo difensivo dello stato ebraico, ma le opzioni strategiche sono limitate e la repubblica sciita appare isolata come non mai. La Russia, storica alleata, ha condannato con parole generiche i raid israeliani, ma senza menzionare una possibile azione concreta per fermarli. La Cina, da cui l’Iran sperava almeno una forte presa di posizione diplomatica, tace.
Khamenei ha lodato il «comportamento coraggioso» della nazione e ha invitato il popolo a non dimenticare «il sangue dei martiri». Ma nelle strade di Teheran, dove le sirene urlano notte e giorno, la realtà è ben diversa. Ospedali sovraccarichi, elettricità razionata, milioni di residenti in fuga. Le immagini delle macerie scorrono sui canali ufficiali tra citazioni coraniche e inni patriottici. Khamenei concluso il suo intervento citando Alì ibn Abì Ṭalib, cugino e genero del profeta Maometto, considerato dai musulmani sciiti il primo imam: «Nel nome del nobile Haidar, la battaglia ha inizio. Dobbiamo dare una risposta forte al regime terrorista sionista. Non mostreremo alcuna pietà». Ma la forza evocativa del simbolismo religioso sciita difficilmente potrà compensare la distanza crescente tra la narrativa del regime e i rapporti di forza militari.
Da Washington Donald Trump ha ribadito con fermezza la linea dura americana. Parlando con i giornalisti alla Casa Bianca durante un evento celebrativo, ha detto: «Due semplici parole: resa incondizionata. L’ho detto e lo ripeto». Secondo il presidente, i negoziatori iraniani avrebbero fatto trapelare la disponibilità a riaprire un canale diplomatico: «Potrebbero venire qui alla Casa Bianca», ha affermato. Ma ha subito chiarito che, per lui, è troppo tardi. «Perché non hanno negoziato con me due settimane fa? Avrebbero ancora un Paese. È triste vedere tutto questo».
Alla domanda se abbia già deciso un attacco diretto, Trump ha risposto nel suo stile più teatrale: «Non penserete davvero che vi dirò cosa farò. Potrei farlo, o forse no. Nessuno sa cosa farò». Intanto però i bombardieri Usa B2 spirit, gli unici in grado di trasportare la micidiale bomba Bunker Buster, sono in viaggio verso l’oceano indiano. La missione iraniana presso l’Onu ha tuttavia smentito di aver chiesto agli usa di negoziare: «Nessun funzionario ha mai chiesto di strisciare ai cancelli della Casa Bianca, l'Iran non negozia sotto costrizione, non accetterà la pace sotto costrizione, e certamente non con un guerrafondaio»