PHOTO
Israeli Prime Minister Benjamin Netanyahu speaks to the audience at a conference in Jerusalem, Sunday, July 27, 2025. (AP Photo/Ohad Zwigenberg)
«La decisione è stata presa: Israele occuperà la Striscia di Gaza». Il gabinetto di sicurezza, convocato dal premier israeliano, Benjamin Netanyahu, ha deciso per la risoluzione militare del conflitto in corso. A darne notizia è l’emittente Channel 12, citando fonti vicine a Netanyahu.
«Hamas non rilascerà altri ostaggi senza la resa completa, non ci arrenderemo», hanno dichiarato i funzionari citati dall’emittente, «Se non agiamo ora, gli ostaggi moriranno di fame e Gaza rimarrà sotto il controllo di Hamas». Secondo Channel 12 la decisione implica che i soldati delle IDF combatteranno anche in aree in cui Israele non ha svolto operazioni negli ultimi mesi. Il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, avrebbe dato «via libera» al governo israeliano a causa dello stallo dei negoziati per il rilascio degli ostaggi.
Negli scorsi giorni Hamas e le milizie della Jihad islamica hanno pubblicato video ritraenti due ostaggi israeliani in condizioni disperate, la decisione di occupare militarmente tutta la Striscia potrebbe essere una risposta alle immagini mostrate dai miliziani. Poche ore prima che il governo tirasse il dado è stata pubblicata una lettera aperta, inviata al presidente degli Stati Uniti da parte di più di seicento funzionari ed ex funzionari delle agenzie di sicurezza israeliane, per chiedere a Trump di fare pressioni su Netanyahu, affinché ponga fine alla guerra in corso nella Striscia di Gaza.
«È nostro giudizio professionale che Hamas non rappresenti più una minaccia strategica per Israele». È quanto si legge in un passaggio della lettera. Tra i firmatari si leggono i nomi di Tamir Pardo, Efraim Halevy e Danny Yatom, ex capi del Mossad, di Ami Ayalon, Nadav Argaman, Yoram Cohen, Yaakov Peri e Carmi Gilon, già a capo dello Shin Bet, dei capi di Stato maggiore Ehud Barak, Moshe Bogie Yàalon e Dan Halon e dell’ex vice comandante delle Idef, Matan Vilnai.
«Questa guerra non è più una guerra giusta e sta portando lo Stato di Israele a perdere la sua identità», ha dichiarato Ami Ayalon in un video diffuso dal movimento Csi (Comandanti per la sicurezza in Israele) a seguito della pubblicazione della lettera. «A nome del Csi, il più grande gruppo israeliano di ex generali dell’esercito, del Mossad, dello Shin Bet, della polizia e di corpi diplomatici equivalenti - scrivono i firmatari - vi esortiamo a porre fine alla guerra a Gaza. L’avete fatto in Libano. È ora di farlo anche a Gaza».
«L’Idf ha da tempo raggiunto i due obiettivi che potevano essere raggiunti con la forza: smantellare l’esercito e il governo di Hamas - proseguono -. Il terzo, e il più importante, può essere raggiunto solo attraverso un accordo: riportare a casa tutti gli ostaggi». «Rintracciare i restanti alti funzionari di Hamas può essere fatto più tardi», ma «gli ostaggi non possono aspettare». Per i firmatari «la credibilità» del presidente degli Stati Uniti «presso la stragrande maggioranza degli israeliani» ne rafforza «la capacità di guidare il primo ministro Netanyahu e il suo governo nella giusta direzione». Con l’obiettivo, conclude la lettera, di «porre fine alla guerra, riportare indietro gli ostaggi, porre fine alle sofferenze e formare una coalizione regionale-internazionale che aiuti l’Autorità Nazionale Palestinese (una volta riformata) a offrire ai cittadini di Gaza e a tutti i palestinesi un’alternativa ad Hamas e alla sua ideologia perversa».
L’appello, data l’approvazione di Trump all’occupazione di Gaza, è rimasto inascoltato. La lettera, che si aggiunge alle sempre più numerose proteste di piazza e al rifiuto di arruolarsi da parte di riservisti dell’Idf, mostra il crescente dissenso che sta maturando all’interno della società israeliana e dei suoi apparati nei confronti dell’operato del premier israeliano, che sembra aver sposato l’agenda dettata dalle frange più radicali del governo. Ieri il premier israeliano ha annunciato la sua intenzione di convocare il gabinetto di sicurezza al fine di «istruire le Forze di Difesa Israeliane su come raggiungere i tre obiettivi» prefissati per la guerra a Gaza, ossia «sconfiggere il nemico, liberare gli ostaggi e garantire che Gaza non rappresenti più una minaccia per Israele».
Secondo una fonte diplomatica citata dai media dello Stato ebraico «il primo ministro sta spingendo per il rilascio degli ostaggi attraverso una vittoria militare decisiva, combinata con l’ingresso di aiuti umanitari nelle aree al di fuori della zona di combattimento e, per quanto possibile, al di fuori del controllo di Hamas».
Nella serata i ministri del governo israeliano hanno votato all’unanimità per la rimozione della procuratrice generale, Gali Baharav-Miara, dal suo incarico. A darne notizia è stato il ministro della Giustizia, Yariv Levin, citato dal Times of Israel. Il governo ha accusato la procuratrice generale di aver bloccato in diverse occasioni le nomine, le decisioni e le leggi promulgate dal governo per meri motivi politici. Nonostante l’esito del voto, secondo quanto stabilito dall’alta Corte di Giustizia, il licenziamento della Procuratrice non entrerà in vigore fino a quando i giudici della Corte si saranno pronunciati sulla legalità dei procedimenti di rimozione.