Il 16 settembre 2022 è una data spartiacque per l’Iran. Quasi tre anni fa veniva uccisa a Teheran Mahsa Amini. La ventiduenne di origini curde è stata picchiata a morte dalle Guardie della moralità. La sua colpa? Avere una ciocca di capelli fuori posto, non coperta dal velo. Da quel giorno gli iraniani hanno iniziato a protestare, rischiando tutti i giorni il carcere e la pena di morte. La loro voce si è alzata nel nome di Mahsa, che potremmo definire sinonimo di libertà, diritti, democrazia.

Ma la repressione degli ayatollah, animati dall’odio e dal fanatismo religioso, è stata violenta. Nonostante la brutale reazione, un faro si è acceso sul Paese asiatico con la quasi unanime condanna del regime da parte della comunità internazionale. Allo stesso tempo tutto il mondo vive giornate dominate dall’incertezza e dalla preoccupazione. Gli Stati Uniti stanno pensando di unirsi ad Israele per sferrare l’attacco definitivo e interrompere il percorso di Teheran volto a dotarsi del nucleare per scopi militari. I toni dell’ayatollah Ali Khamenei non fanno ben sperare. «Se gli Usa dovessero attaccare l’Iran – ha detto ieri -, saranno ricambiati con un danno irreparabile».

Guida Suprema dal 1989, dopo la morte di Khomeini, Khamenei ha plasmato la politica iraniana a sua immagine e somiglianza: ultraconservatrice, antioccidentale e antisionista. Con una predilezione per il soffocamento del dissenso. A confermare la situazione dei diritti umani è il rapporto della “Missione internazionale indipendente di accertamento dei fatti sulla Repubblica islamica dell’Iran” (istituita dalle Nazioni Unite), pubblicato a marzo e presentato all’Onu. Dall’inizio delle proteste del 16 settembre 2022 le violazioni dei diritti umani e i crimini contro l’umanità sono diventati sistematici. L’Iran ha fatto ingenti investimenti per rafforzare il controllo sulla popolazione attraverso dispositivi tecnologici.

In questo contesto si inserisce il “Piano Noor” dell’aprile 2024 con il quale si realizza la persecuzione legale contro le donne che violano l’obbligo di indossare l’hijab. Multe, reclusione e addirittura la pena di morte se i capelli non sono ben coperti. La Missione ha raccolto oltre 38 mila prove e intervistato 285 testimoni, confermando la commissione di crimini contro l’umanità e casi di stupro di donne fermate dopo le proteste di tre anni fa.

Un quadro inquietante confermato dal rapporto della Relatrice speciale Onu sulla situazione dei diritti umani in Iran, la criminologa giapponese Mai Sato. Il documento evidenzia la «sistematica persecuzione statale volta a limitare i diritti di donne e ragazze», negando loro ogni forma di uguaglianza. Atti persecutori si verificano contro le vittime di torture e violenze subite durante le proteste, nonché contro i loro familiari, gli avvocati e i giornalisti che cercano di far luce su quanto accade nella Repubblica islamica. Dal 2022 almeno 10 uomini sono stati giustiziati a seguito delle proteste scoppiate per la morte di Mahsa; altre 14 persone, tra cui tre donne, rischiano la pena di morte. Sono state documentate gravi violazioni come le confessioni estorte tramite tortura e lo svolgimento di processi senza il minimo rispetto delle regole processuali e del diritto di difesa.

La Relatrice speciale sottolinea le dimensioni e l’impatto delle violazioni dei diritti umani. «L'anno 2024 – scrive Mai Sato - ha segnato un aumento significativo delle esecuzioni accertate, il più alto dal 2015. Le Ong, che lavorano con famiglie, avvocati e altri soggetti collegati alle persone giustiziate, hanno segnalato oltre 900 esecuzioni, rendendo la Repubblica islamica dell’Iran il Paese con il più alto tasso nel mondo di ricorso alla pena di morte. L’Iran non pubblica dati ufficiali sulle condanne a morte e sulle esecuzioni, ragion per cui è necessario basarsi su stime. Le osservazioni ricevute dalla Repubblica islamica dell'Iran hanno categoricamente respinto i numeri delle esecuzioni contenuti nel rapporto, ma non hanno fornito statistiche ufficiali. In base alle osservazioni delle Ong sul numero totale di esecuzioni nel 2024, solo una piccola parte, pari al 10%, è supportata da fonti ufficiali o da organi di stampa sostenuti dallo Stato».

La mancanza totale di trasparenza è contraria, sostiene la Relatrice delle Nazioni Unite, ai principi fondamentali che regolano il rispetto dei diritti umani. Il rapporto documenta almeno 179 casi di femminicidio nel 2024 e rileva che il sistema giudiziario iraniano fornisce protezione agli autori di reati di sesso maschile. «Il sistema legale iraniano – commenta Sato - tratta gli omicidi d’onore in modo diverso dalle altre forme di omicidio, creando una pericolosa gerarchia di violenza che legittima azioni letali contro le donne».

Nel 2024 sono state condannate a morte almeno 30 donne, il numero più alto nell’ultimo decennio. «Vorrei richiamare l’attenzione – aggiunge la Relatrice speciale sui diritti umani - sul caso di tre attiviste attualmente condannate a morte per il loro attivismo e impegno sociale, che la magistratura ha considerato reato di “baghi”, vale a dire ribellione armata contro lo Stato. Si tratta di Pakhshan Azizi, Varisheh Moradi e Sharifeh Mohammadi. Le donne condannate a morte e le vittime di femminicidio, spesso, condividono esperienze simili che hanno caratterizzato la loro esistenza: storie segnate da abusi domestici, violenze sessuali e matrimoni precoci».

Secondo il senatore Giulio Terzi (FdI), già ministro degli Esteri, Occidente ed Europa non devono tentennare e stare a guardare. «Non facciamoci ingannare – commenta Terzi - da quella narrativa naïve di un regime iraniano ora guidato dal “presidente moderato” Pezeshkian. Chiamiamo la realtà con il proprio nome. Egli è fedele alla dottrina fondamentalista islamica, rivendica di essere delle Guardie della Rivoluzione, continua a opprimere e violentare il suo popolo, seminando in Medio Oriente il terrorismo. Come Oriana Fallaci si tolse il chador davanti a Khomeini, squarciamo oggi il velo ideologico e acquiescente nei confronti dell’Iran». Domani, però, è difficile prevedere cosa accadrà.