«Conosciamo la dinamica. Non è nuova: il carcere come zona altra, separata. L’illusione del muro che ci dividerebbe da chi è dentro: dentro ci sono solo i cattivi, fuori i buoni. Io sono fra i buoni, pensano molti, e non voglio sapere cosa avviene al di là del muro. Ecco in sintesi la drammatica, assurda logica in base alla quale ancora una volta trattiamo il carcere. Anche stavolta, anche di fronte all’emergenza coronavirus. Noi consiglieri di Area abbiamo cercato di portare in plenum un contributo di pragmatismo. Non siamo riusciti a ottenere fino in fondo tale esito».

Giuseppe Cascini, procuratore aggiunto a Roma finché non è stato eletto al Csm per il gruppo di Area, appunto, non è un buonista. Non è tra quelli che lui stesso definisce «l’altro estremo della dialettica con gli ultra rigoristi, costituito da vorrebbe sempre risparmiare la sanzione». Cascini non è un buonista ma è pragmatico: «Davvero sappiamo come fare a gestire l’eventuale esplosione di una bomba epidemiologica dietro le sbarre? E se non c’è un piano chiaro, non sarebbe meglio consentire una concessione dei domiciliari a chi ha residui di pena bassi anche più ampia dell’attuale, e rinviare gli ordini di carcerazione di 6 mesi per le condanne entro i 4 anni?».

Sì, forse sarebbe meglio. E invece l’Italia, per il resto apprezzata in tutto il mondo quanto a misure di contrasto dell’emergenza, solo nel gestire la parte relativa al carcere sembra farsi superare dall’Iran: perché?

Dall’Iran, certo. Anche dalla Somalia. Pochi giorni fa ha liberato un buon numero di detenuti.

E com’è possibile?

Perché quando si discute del carcere lo si fa col classico schema del dialogo fra sordi. Prevale l’ideologia, si accantona il pragmatismo.

Forse i rigoristi pensano che se aumentassero i contagiati in carcere, ci sarebbe la possibilità di isolarli.

Dove? Non mi risulta che il nostro sistema penitenziario disponga di spazi liberi. Se ci fossero, non saremmo stati condannati dalla Corte europea dei diritti dell’uomo per l’inumano sovraffollamento dei nostri istituti.

Andiamo dritti verso la catastrofe?

Vorrei solo porre alcuni interrogativi. Parto dalle premesse, dai dati noti. I nostri detenuti non alloggiano in camere singole con bagno. Dormono in camere multiple, dividono i servizi, spesso cucinano e consumano pasti sempre all’interno di quello spazio. Dividono in tanti quegli spazi comuni che non sono certo smisurati, sono costantemente a stretto contatto con gli agenti di polizia penitenziaria. Se dunque noi che viviamo fuori, me compreso, ci siamo giustamente autoconsegnati all’isolamento domestico, con eccezione per poche assolute necessità, è altrettanto chiaro che chi si trova in un penitenziario non può osservare la prescrizione del distanziamen-to di un metro.

E questa è la premessa.

Aggiungo che se le carceri fossero meno affollate sarebbe comunque difficile evitare che vi si diffonda il contagio. Ma sarebbe o no un po’ meno difficile? Ciò detto, parliamo della salute di tutti, non solo dei reclusi. Parliamo di una possibile bomba epidemiologica, che potrebbe esplodere

Crede si sottovaluti l’inevitabile osmosi fra dentro e fuori dal carcere? Che ci si dimentichi per esempio degli agenti, i quali dormono pu sempre a casa, e dei detenuti che nelle prossime settimane finiranno di scontare la pena e torneranno fra noi?

È l’illusione di cui le ho detto prima: l’illusione del carcere come mondo chiuso. Secondo cui potremmo lasciarli là dentro chiusi col loro virus: non verranno a infettare anche noi. No, non è così. Gli agenti entrano ed escono, tutti i giorni. Così come gli psicologi, i volontari, i cappellani. La realtà è assai diversa dall’illusione: così come i problemi del carcere infettano la società, perché un detenuto a cui non sia stato assicurato un trattamento davvero rieducativo, risocializzante, torna fuori più criminale di com’era entrato in carcere, così è per il virus. Non si può impedire che la quota di reclusi destinata fisiologicamente a uscire per fine pena veicoli all’esterno l’eventuale contagio diffusosi dietro le sbarre. E oltre che di salute in senso stretto, è anche un problema di sicurezza.

Perché?

Immaginiamo cosa accadrebbe se aumentasse notevolmente il numero dei contagiati fra gli agenti penitenziari: dovrebbero andare in quarantena, in congedo per malattia. E chi gestirebbe la sicurezza dentro gli istituti? Proprio le rivolte di inizio marzo dimostrano come i detenuti possano impadronirsi di una struttura. Immaginiamo cosa accadrebbe se cominciasse a diffondersi il virus tra di loro e, appunto, nella polizia.

E invece chi al Csm non condivide la sua linea ribatte che non si può concedere nulla ai rivoltosi.

Dico di più: non mi allineo alla visione per cui in carcere ci vanno solo i poveracci. No. Ci vanno persone responsabili di atti criminali. Ma mi chiedo: visto che noi consiglieri di Area proponiamo di concedere i domiciliari a chiunque abbia un residuo fino a 24 mesi di pena, anche senza il vincolo del braccialetto e con l’esclusione dei reati ex articolo 4 bis, chi si dice contrario davvero pensa che una persona a cui resta poco da scontare trovi conveniente darsi alla fuga? O davvero credete che nelle circostanze di paralisi della vita collettiva come l’attuale, ci siano significativi rischi di reiterazione dei reati? A me pare che non vi sia neppure la materia per commetterli, i reati.

In una proposta di emendamento inoltrata al ministro della Giustizia, il Cnf chiede di sospendere in modo esplicito il termine dei 30 giorni che, una volta ordinata la carcerazione, consente di chiedere le pene alternative. Pare tanto più sensato se si considera che i servizi sociali a cui chiedere l’affidamento in prova ora sono chiusi.

Certo, assolutamente. Si rischia di sottoporre alla misura inframuraria anche chi avrebbe potuto scontare la pena all’esterno ed evitare così di contribuire a sovraffollare ulteriormente le carceri. In realtà a me sembrerebbe indiscutibile che, una volta sospesi tutti i termini processuali, anche quelli relativi agli ordini di esecuzione smettano di correre. Ma vede, siamo all’altra proposta che noi consiglieri di Area abbiamo avanzato per la definizione del parere del Csm, e che non ha trovato il necessario ascolto: abbiamo chiesto di non eseguire affatto, per 6 mesi, gli ordini di esecuzione rispetto a tutte le condanne entro i 4 anni, escluso sempre il 4 bis. Al di là del nodo sospensione, sappiate che ci sono molti reati a bassa pericolosità per i quali la richiesta di misure alternative non è prevista, a cominciare dai furti. Avremmo avuto un po’ meno ingressi. E invece no. Continuiamo a chiudere gli occhi su cosa potrebbe avvenire se dentro le carceri quella bomba epidemiologica esplodesse davvero.