Quando, pochi giorni fa, il generale croato- bosniaco Slobodan Praljak bevve platealmente in un solo sorso una bottiglietta di veleno nell’aula del Tribunale dell’Aja subito dopo la conferma della condanna a venti anni come criminale di guerra, in tanti commentarono sui social: il Novecento è ancora tra noi. Quella scena rimandava al suicidio di Goering, il criminale nazista che aveva preferito ingoiare una pastiglia di cianuro piuttosto che assistere alla propria condanna davanti al Tribunale di Norimberga. Nessuno di quelli che aveva commentato in quel modo poteva aver mai assistito alle sedute di Norimberga, ma avevano visto una guerra, non lontano da noi, nella ex Jugoslavia, avevano visto l’assedio e il bombardamento di intere città.

Uno sterminio sistematico per motivi etnici e razziali, avevano visto i campi di concentramento, le fosse comuni, gli stupri di massa, e ora un altro, ancora un altro, comandante giudicato per crimini contro l’umanità. E di nuovo il cianuro.

Il passato non muore mai. E non è neanche passato, ha scritto William Faulkner.

Poche ore ancora, e in Argentina il Tribunale federale numero cinque di Buenos Aires condannava i responsabili dell’orrore della Esma, l’ex Escuela Mecánica de la Armada ( Esma), carcere clandestino – la macelleria – della dittatura militare ( 1976- 1983), ora trasformato in Centro per la memoria. Sul banco degli imputati, cinquantaquattro tra ex militari e civili accusati di crimini orrendi contro 789 persone. La sentenza è stata implacabile: ventinove ergastoli, diciannove condanne a pene detentive e quattro assoluzioni. Tra quanti resteranno in carcere a vita c’è l’ex capitano Alfredo Astiz, l’angelo biondo della morte, e Jorge El Tigre Acosta, già condannati in altri processi per crimini contro l’umanità. Sono, in particolare, gli autori e complici dei “voli della morte”, quell’orribile sistema per cui i prigionieri venivano caricati su aerei non registrati e gettati, ancora vivi dopo innumerevoli sevizie, nel Rio de la Plata. Quel fiume ha restituito, nel tempo, decine di corpi. Dal 2003, con l’abrogazione delle leggi di amnistia e indulto, l’Argentina ha potuto fare i conti con il recente passato. Al momento, 449 ex aguzzini sono in carcere, altri 553 agli arresti domiciliari e ci sono ancora 420 processi aperti nei tribunali. A aspettare la sentenza, parenti dei desaparecidos, superstiti di quell’era cruenta, attivisti e giovani decisi a custodire la memoria perché l’incubo non si ripeta nunca más ( mai più). Astiz ha ascoltato il verdetto con aria indifferente. Ha ribadito il suo vecchio ritornello: «Non chiederò mai perdono per aver difeso la patria». È più o meno quello che ha urlato il generale croato prima di bere la sua fiala di veleno: «Slobodan Praljak non è un criminale di guerra».

Quando, negli anni Novanta del Novecento, i cileni che vivevano in Spagna chiesero al giudice Garzón di procedere anche per i casi del loro paese – dopo che aveva chiesto all’Argentina di estradare più di cento militari e marinai per giudicarli a Madrid, e Menem e il presidente che poi gli succedette, Fernando de la Rúa, rifiutarono, invocando la sovranità nazionale – nel 1998 la richiesta di un giudizio portò all’arresto a Londra, dove si trovava per cure mediche, dell’ex dittatore cileno Augusto Pinochet. Le udienze per la sua estradizione si svolsero nel palazzo del parlamento britannico a We- stminster. L’avvocato difensore del dittatore cileno disse, davanti ai giudici in toga e parrucca, che Pinochet godeva del principio sovrano dell’immunità la stessa di cui avrebbe goduto Hitler se fosse sopravvissuto alla Seconda guerra mondiale. D’altronde, la Thatcher non aveva concesso l’estradizione quando tra soldati e ufficiali catturati e arresi alle truppe britanniche alle Falkland era saltato fuori il nome del capitano Alfredo Astiz, il biondino che si infiltrava nelle organizzazioni umanitarie argentine, le famiglie dei desaparecidos, e denunciava gli attivisti perché venissero inghiottiti dalla tortura dell’Esma. Pochi giorni dopo si commemorava il mezzo secolo della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo mentre intanto la dissoluzione dell’ex Jugoslavia mostrava al mondo via satellite in diretta i campi di concentramento di cui non si credeva possibile la ripetizione dopo la Seconda guerra mondiale. Solo un ictus salvò Pinochet.

Il passato non è neanche passato. Nel marzo 1995 un ufficiale della Marina argentina, Adolfo Scilingo, confessò di aver gettato vivi in mare una trentina di persone da aerei di guerra. La confessione di Scilingo provocò un terremoto, non perché non si fosse già a conoscenza di quello che le forze armate avevano compiuto, ma perché questa volta non era un sopravvissuto o un parente di scomparsi che denunciavano ma uno degli assassini. L’istanza giudiziaria venne riaperta. La ley de punto final y de obediencia debida – legge dell’obbedienza dovuta – fu un provvedimento emanato il 4 giugno 1987 dal Parlamento argentino, allo scopo di sollevare da responsabilità, senza possibilità di prova contraria, i rappresentanti delle forze armate che si fossero macchiati di delitti contro gli oppositori e di crimini contro l’umanità durante il periodo della dittatura militare argentina tra il 1976 e il 1983. Ma stavolta si disse che le leggi che impedivano perseguire i responsabili non avevano abrogato il diritto di ogni famiglia per la verità. In breve tempo, le prove per la verità si diffusero in tutto il paese. Menem aveva cercato di fermare dalla Corte Suprema, ma non ebbe altra scelta se non consentire la continuazione del procedimento. Il 24 marzo 1996 una manifestazione mai vista riempì Plaza de Mayo di una richiesta di memoria, verità e giustizia. Furono le immagini di quella manifestazione che innescarono in Spagna quelle domande sulla giurisdizione universale e quel percorso giudiziario del giudice Baltasar Garzón.

La mia generazione – quella nata dopo la guerra e a cui si prospettava una democrazia serena – è diventata adulta in mezzo a quel dolore e a quell’orrore: gli stadi pieni di giovani oppositori, i militanti torturati, ammazzati, scomparsi, esiliati a decine di migliaia, le speranze di un’America latina, di un Cile, un’Argentina non più colonizzati dall’impero americano fatte invece a pezzi tra complotti orditi dalla Cia e sostegno a dittature sanguinarie in nome dell’anticomunismo. Nel silenzio, nell’indifferenze e nella complicità di governi e democrazie nelle quali vivevamo. Questo è stato il nostro Novecento, anche questo. Rivisto, di nuovo quando eravamo ormai uomini “maturi”, nella vicina ex Jugoslavia.

Quantunque questo possa essere un mondo imperfetto, pieno di tronfi populisti, di arroganti cialtroni, di provinciali arrampicatori, di turbofinanzieri e di sordi burocrati, quell’orrore e quel dolore si fa ancora fatica a ricordare.