È finita. Il Senato brasiliano ha approvato l'impeachment contro Dilma Rousseff, destituendola dalla carica di presidente. A far calare il sipario, sono stati ben 61 voti a favore, molto più dei due terzi degli 81 senatori necessari. Lei, però, fino all'ultimo non si è data per vinta, denunciando un «golpe» contro di lei e definendo il procedimento «l'elezione diretta di un governo usurpatore».Rousseff, eletta per un secondo mandato nel 2014 con 54 milioni di voti, ha già annunciato che ricorrerà in appello alla Corte suprema federale. Ora l'incarico passa definitivamente al suo vice, il centrista e liberale Michel Temer, che la aveva sostituita fino ad ora e ora cercherà di trovare la maggioranza per rimanere in carica fino al 2018, conclusione naturale del mandato di Dilma. L'ipotesi più probabile, comunque, rimane quella delle elezioni anticipate entro ottobre, come chiedono gli altri due grandi partiti brasiliani, il partito dei Lavoratori dell'ex presidente Lula e il Partito della social democrazia brasiliana. Lo scacco matto a Dilma Roussef, però, è saltato: il Senato, infatti, non ha approvato anche l'interdizione ai pubblici uffici, che avrebbe comportato la sua ineleggibilità per otto anni. La "Donna di ferro", dunque, potrà correre alle prossime elezioni. Le accuse contro di lei - che si è sempre dichiarata innocente - sono pesantissime: manipolazione dei conti pubblici e distorsione di fondi da banche statali per finanziare i programmi di spesa sociale per il Brasile, così da assicurarsi la rielezione a fine mandato. La prassi di fare versamenti anticipati e non coperti dalla legge di bilancio è tutt'altro che infrequente nello Stato sudamericano, ma i predecessori Lula e Cardoso si erano limitati a qualche centinaio di milioni di real. Alla fine del 2014, i fondi non rendicontati attribuiti al primo governo Rousseff avevano toccato i 52 miliardi di real, circa 15 miliardi di euro. Dopo il voto, il Brasile si trova orfano della sua prima presidente donna e guarda al domani in una situazione economica drammatica, con un vertiginoso calo del Pil del 7% nel biennio 2015-2016 (il bilancio peggiore da 80 anni) e un'inflazione che ha superato il 10%.