(foto Giorgio Varano) Ecco, Renato Borzone non propone piani. Certo: si sofferma, come l’altro candidato alla presidenza dell’Ucpi Gian Domenico Caiazza, sulla solitudine. Non solo. Con l’avversario ha in comune l’analisi e la definizione delle priorità. Se uno scorre i due programmi proposti al congresso di Sorrento, si accorge che sono sovrapponibili. Davvero. Ma in Borzone c’è un assunto: «L’attacco sistematico allo Stato di diritto è assoluto. Irrimediabile. Non redimibile». E ricorda il discorso di Robespierre sulla necessità di condannare re Luigi senza processo: «Di fronte a una negazione delle garanzie del tutto analoga a quella, noi dobbiamo sventolare alte le nostre bandiere. Poi vedremo chi nel riconoscerle vorrà unirsi a noi».

Le garanzie ridotte a orpelli. Come nella “Révolution”

La differenza è in quei due aggettivi: irrimediabile, non redimibile. E a voler chiarire il punto di vista del candidato alla presidenza Ucpi  che ne ha guidato l’Osservatorio Informazione giudiziaria, si deve richiamare proprio la citazione sulla Révolution: «“Qui non c’è da fare un processo, il re non un è imputato, dovete assumere una misura di salute pubblica, un atto di provvidenza nazionale”». E ancora: «“Se è oggetto di un processo, re Luigi può essere assolto. E comunque finché è sotto processo è presupposto innocente”». Un barlume della grandezza di Beccaria era persino in Robespierre. Di cui Borzone ricorda quest’ultima frase: «“Se re Luigi è assolto, che ne è della Rivoluzione?...”». Nella drammatica citazione, c’è il senso del rifiuto di una strategia politica, c’è la rivendicazione di un ruolo persino solitario, idealizzato, “sognante” – come da evocazione nel titolo del programma – ma commisurato a un clima che per l’ex presidente della Camera penale di Roma è di guerra. Perché a ben vedere, nell’antefatto “rivoluzionario” c’è la attualissima liquidazione delle garanzie, del processo e dell’avvocato quali orpelli che fanno perdere tempo. C’è Davigo che considera anche gli innocenti come colpevoli che l’hanno fatta franca. E c’è per Borzone la necessità di compattare l’avvocatura in una missione consapevole del clima e anche della tragicità del conflitto, «in cui esiste solo una architrave, per la nostra azione: lo statuto dell’Unione Camere penali italiane».

Issare le bandiere, chi vuole le seguirà

Naturalmente Borzone non esclude di «cercare il dialogo con la politica, con la parte illuminata della magistratura», ma non pensa a forme di costruzione paziente del consenso attorno ai principi dello Stato di diritto: «Noi dobbiamo sventolare alte le nostre bandiere. Nei primi cento giorni dobbiamo esporle, mettere in campo le nostre proposte, a cominciare dall’istituzione di un garante nazionale per l’informazione giudiziaria. Sventoliamole, teniamole alte e vediamo chi le seguirà. Perché se provassimo a definire un manifesto e a ottenerne un’ampia sottoscrizione, saremmo inevitabilmente costretti a trovare subito delle forme di compromesso».

Al governo due forze rivolte allo Stato etico

La diffidenza di Borzone rispetto alla possibilità di interlocuzioni dialettiche utili, da rendere subito attive, poggia su due presupposti. Il primo appunto riguarda la politica, il fatto che «ci troviamo di fronte a due forze entrambe viziate da una concezione tipica dello Stato etico: dal 4 marzo, da quando hanno vinto, viviamo in una situazione di allerta per la civiltà giuridica in Italia. Si tratta», secondo Borzone, «di due forze politiche non diverse tra loro». Non avrebbe dunque senso costruire intergruppi parlamentari, perché «i consensi vanno trovati e aggregati sulle singole proposte: un mitico riferimento che vada bene sempre è illusorio».

Attenti ad arruolare la magistratura

L’altro presupposto riguarda la magistratura che sì, per Borzone, «propone anche posizioni interessanti, da apprezzare, come abbiamo ascoltato anche qui a Sorrento dalla voce di Mariarosaria Guglielmi, segretaria di Magistratura democratica. Eppure, noi non possiamo trascurare per esempio il grande successo di Piercamillo Davigo alle elezioni per il nuovo Csm: 2500 preferenze da lui raccolte equivalgono a un quarto della magistratura nel suo insieme, ma rappresentano gran parte della magistratura penale». E allora Borzone con vorrebbe che «quella magistratura pronta a innalzare il baluardo della propria autonomia e indipendenza quando è sotto attacco della politica pronunciasse le stesse rivendicazioni quando qualche magistrato, per il sol fatto di ordinare una scarcerazione, viene massacrato sui media». E qui Borzone cita un dato che non si può sottovalutare: il fatto che «Alla fine la magistratura si compatta sempre sui propri interessi». Si riferisce in particolare all’attuale presidente dell’Anm, Francesco Minisci, che «sui temi per noi fondamentali va in direzione esattamente contraria alla nostra: con la richiesta di abolire il divieto di reformatio in peius, con l’invito a percorrere ogni possibile soluzione pur di accelerare la durata dei processi, con un incomprensibile giudizio favorevole al ddl anticorruzione, che anzi vorrebbe integrare con lo stop alla ripetizione del dibattimento in caso di cambio del giudice esteso ai processi di corruzione».

Se si è impopolari, ci si batte lo stesso

Borzone ha un’idea appunto drammatica del “clima di guerra” in cui l’Unione Camere penali si troverà ad agire. Cita il direttore del Dubbio Piero Sansonetti per un editoriale rivolto proprio a Magistratura democratica, in cui si ricordava come l’attacco alla cultura dei diritti realizzato con l’arresto di Mimmo Lucano «non possa essere ricondotto alle politiche di Salvini perché è da attribuire proprio ai pm». Non coltiva alcuna particolare fiducia nelle sponde parlamentari e in ogni caso si richiama alla «tradizione di trasversalità dell’Unione». Soprattutto, pone di fronte a sé la consapevolezza che «le nostre battaglie saranno assai probabilmente impopolari, anzi lo sono. Ma non per questo dobbiamo rinunciare a combatterle». E se c’è il buio oltre la siepe, prima o poi, evidentemente, una luce tornerà ad aprire il cielo.