«Sulle intercettazioni ho già ricevuto contributi dalle Procure, così come ne ho chiesto e ottenuto uno dal Consiglio nazionale forense. Lo solleciterò alle associazioni forensi di settore, le Camere penali, che ho già incontrato». Il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede mostra di aver ben chiara la delicatezza del dossier relativo agli “ascolti”. Lo fa nella lunga diretta di ieri su Radio 24 in cui accetta domande sia da giornalisti che da semplici ascoltatori. Si sofferma anche su prescrizione ( «la ragionevole durata del processo deve garantirla lo Stato, non devono pagarla i familiari delle vittime come a Viareggio» ) e legittima difesa ( «è presto per dire quali articoli del codice toccheremo ma vanno eliminate dalla disciplina le zone d’ombra» ). Non mancano passaggi sul carcere - con una pur prudentissima apertura sulle misure alternative, da concedere «dopo accurati controlli e a chi davvero le merita» - e persino sulla produttività delle toghe: «Ho chiesto all’ispettorato del ministero di intensificare il lavoro, è chiaro che anche tra i magistrati possono esserci le mele marce».

Delle molte considerazioni fatte in diretta dal guardasigilli, colpisce l’attenzione riservata alle intercettazioni e in particolare al diritto di difesa. Bonafede mostra di aver ben colto uno degli aspetti cruciali che gli sono stati sottoposti dal Consiglio nazionale forense. In un documento trasmesso lo scorso 6 luglio dal presidente Andrea Mascherin ed elaborato in base ai rilievi fatti insieme con l’Unione Camere penali, il Cnf ha segnalato tra l’altro come nel decreto di Orlando permanessero incertezze interpretative sia sulla possibilità che il difensore possa ottenere copia dei file digitali, sia rispetto all’accessibilità delle vere e proprie trascrizioni, oltre che dei verbali di sintesi delle operazioni di intercettazione. Il che, si ricorda nelle osservazioni dell’avvocatura istituzionale, limita la possibilità di «meglio articolare le difese», visto che resta esplicitamente ammesso solo «l’ascolto delle comunicazioni registrate». Ebbene, anche in virtù di una formazione da avvocato, Bonafede assicura ai microfoni della radio di Confindustria che «dovranno sì essere fissate modalità di raccolta delle intercettazioni che consentano di distinguere le parti penalmente rilevanti, ma si deve anche garantire il dirttto alla difesa per gli indagati. I quali», nota il ministro della Giustizia, «tramite il loro avvocato devono poter accedere a tutto il materiale raccolto». È un riconoscimento importante. «Con il decreto Orlando il difensore non poteva accedere immediatamente ad atti in cui le conversazioni fossero nero su bianco». Laddove «il difensore ha bisogno di collocare le frasi del suo assistito nel contesto giusto, per coglierne un significato che possa essere eventualmente utile alla sua posizione. Ma è chiaro che non gli si può lasciare un termine di appena dieci giorni, durante i quali lo stesso difensore dovrebbe correre in una saletta della Procura per mettersi le cuffie e ascoltare le telefonate intercettate magari nel corso di molte settimane. Con il testo del precedente governo, insomma, non si rischiava solo di danneggiare le indagini ma anche il diritto di difesa». Anche per questo il guardasigilli rivendica «con orgoglio» il «merito» di aver bloccato quella che definisce «una folle riforma delle intercettazioni che, secondo la mia opinione, finiva solo per proteggere i politici».

Bonafede non si sofferma su un altro aspetto specificamente segnalato nel documento del Cnf, e più volte richiamato dall’avvocatura nel corso di questi anni: la necessità di «rafforzare l’effettività del divieto di intercettazione con ogni mezzo - delle comunicazioni e delle conversazioni tra avvocato e cliente», come si legge nelle osservazioni inviate a via Arenula il 6 luglio. Il Cnf ricorda che sì, la riforma Orlando realizzava «una tutela speciale», per tali comunicazioni, per le quali veniva sancito, oltre alla già prevista inutilizzabilità, anche il divieto di trascrizione, a cui il pm non poteva derogare in alcun caso, salvo qualora il colloquio «costituisca corpo del reato». Eppure, ricorda il Cnf, neppure quella disposizione mette al riparo dal rischio che il contenuto di quelle intercettazioni «venga comunque a conoscenza dell’accusa». Ecco perché servirebbe «l’immediata interruzione» dell’intercettazione e la «immediata distruzione» di quanto comunque acquisito dalla polizia. Una richiesta che il presidente del Cnf Mascherin ha esposto poco più di un anno fa anche al consigliere giuridico del Quirinale Stefano Erbani, e che sarà uno dei fronti più caldi nella discussione col governo sul nuovo testo delle intercettazioni.