Ci sono due governi . E il secondo rischia di fare ombra al primo. Il governo numero uno è quello che parla per vie ufficiali, si confronta con i soggetti istituzionali ( avvocati e magistrati, nel caso della giustizia) e se dà interviste, lo fa sulla carta stampata con una dose di realismo nei limiti dell’accettabile. Poi c’è il governo gialloverde “ombra”. Di se stesso. È quello che va in tv. E che deve mostrarsi più cattivo. Aderente alle attese dell’elettorato più arrabbiato e giustizialista.

Ecco, lo schema rischia di condizionare in modo particolare il nuovo ministro della Giustizia Alfonso Bonafede. Che, sulla capacità di rinunciare alle lusinghe mediatiche, si gioca anche il rischio di una rivolta dei penalisti a Bari, come si vedrà tra un attimo. E che l’altro ieri sera, nella sua prima apparizione in un salotto televisivo, a “Piazzapulita” su La7, ha sì mantenuto il profilo che ne fa una delle espressioni meno irrequiete dell’esecutivo, ma ha dato segnali decisamente più “radicali” su riforma del carcere e intercettazioni. Nel primo caso, in vista di una riscrittura del decreto Orlando, ha criticato un aspetto che, nell’intervista rilasciata al Fatto quotidiano giovedì, non aveva messo nel mirino: il rischio che, con il provvedimento predisposto dal suo predecessore, si faccia «solo svuotacarceri», laddove «le pene alternative vanno razionalizzate, mirate solo a chi merita». Senza tenere in conto, evidentemente, che la riforma penitenziaria rimasta in sospeso provvede esattamente a questo: eliminare sì le preclusioni nell’accesso ai benefici ma anche, e soprattutto, i relativi automatismi. Nel secondo caso, relativo alle intercettazioni, Bonafede ha sollevato davanti alle telecamere de La7 un’obiezione pure tenuta da parte nel’intervista al quotidiano diretto da Travaglio: «Se il giornalista ritiene che un’intercettazione è di interesse pubblico deve avere la libertà di pubblicarla». Ma il decreto Orlando non introduce divieti in proposito, anzi: consentirà ai cronisti di ottenere copia integrale delle ordinanze. Se però Bonafede trova comunque un “bavaglio” in quelle norme, vuol dire che non gli stanno bene neppure le precauzioni minime introdotte per evitare la “sputtanopoli”, ossia l’obbligo pm e giudici di limitarsi a riportare i soli passaggi «essenziali» delle intercettazioni. In tv, insomma, il nuovo ministro sembrerebbe voler lasciare a disposizione dei giornalisti tutto quanto può servire loro a entrare anche nella vita privata degli indagati.

A BARI SI RISCHIA LA RIVOLTA DEI PENALISTI

C’è uno scarto evidente nel linguaggio e nei messaggi. Si tratta di capire se il governo “ombra”, quello televisivo, si imporrà su quello vero anche negli atti ufficiali. Nel caso di Bonafede lo si potrebbe verificare a breve. C’è uno snodo decisivo rispetto alla questione del Tribunale di Bari finito sotto le tende: i poteri straordinari, che il ministro della Giuper stizia non vorrebbe istituire ma che sarebbero, spiega il presidente dell’Ordine degli avvocati di Bari Giovanni Stefanì, «il solo strumento in grado di superare gli ostacoli urbanistici nella individuazione di un nuovo immobile all’interno della città». Bonafede ha ribadito di non voler assolutamente nominare un commissario straordinario. «Sarebbe molto meglio anche per noi se sollecitasse un decreto legge che conferisse a lui stesso i poteri per andare in deroga e superare i problemi di destinazione d’uso emersi per almeno due immobili proposti da altrettanti imprenditori», spiega Stefanì. L’impressione però è che il guardasigilli non voglia sentir parlare di commissari straordinari non perché non comprenda le ragioni degli avvocati, ma perché quella soluzione evoca mediaticamente altre stagioni e ben altre vicende. Ad esempio l’era Bertolaso. La via d’uscita per Bari sembra dunque in conflitto con esigenze di carattere mediatico esattamente come le valutazioni su carcere e intercettazioni. Si tratta di capire se Bonafede sarà in grado di affrancarsene. E, nel caso di Bari, riuscire così a evitare lo “spezzatino” della giustizia: senza i poteri straordinari, infatti, gli uffici penali finirebbero smembrati in due piccoli immobili, uno dei quali addirittura fuori città, a Modugno. È contro questo incubo che sono mobilitati i penalisti del capoluogo pugliese: per lunedì hanno convocato un’assemblea straordinaria destinata a proclamare iniziative clamorose, se da via Arenula si insisterà con il trasloco sdoppiato. Il presidente della Corte d’appello Franco Cassano è dalla parte della Camera penale, e ha costituito una conferenza permanente. Da Roma, presidente e segretario dell’Unione Camere penali, Beniamino Migliucci e Francesco Petrelli, scrivono a Bonafede e gli chiedono «con la massima urgenza un incontro, al fine di poterle rappresentare le specifiche esigenze e le proposte di tutti i colleghi baresi, facendoci responsabilmente carico di ogni possibile futura mediazione». In pratica: vediamoci e troviamo un accordo se no a Bari la situazione sfugge di mano. Esito evitabile. Basta che le logiche del governo ombra non prevalgano su quello vero.