In Bolivia, a soli due giorni dalla controversa proclamazione di Jeanine Anez Chavez al posto di Evo Morales, la nuova presidente sembra mostrare già un volto poco rassicurante. Attraverso twitter ha espresso infatti giudizi razzisti nei confronti della popolazione nativa. «Sogno una Bolivia libera dai riti satanici degli Indios, le città non sono luoghi per gli indios. Che se ne vadano sull’altopiano del Chaco» ha scritto la Anez.

Ciò, nonostante il 65% del paese andino sia costituito proprio da persone indigene che stanno subendo, secondo diverse testimonianze, una vera e propria persecuzione. Si parla infatti di aggressioni, bastonature e allontanamenti coatti dai centri abitati come Santa Cruz, La paz e Sucre.

La situazione dunque continua ad essere confusa e carica di tensione. Jeanine Anez è diventata presidente del paese, attraverso una nomina che poggia sulla sua “discendenza costituzionale”, in quanto sia il capo dello Stato che il numero due Alvaro Garcia Linera, e sia la guida della Camera alta Adriana Salvaterra, o sono fuggiti in Messico o si sono dimessi così come molti deputati che fanno parte del partito Mas ( Movimento per il socialismo) dell'ex presidente.

Una circostanza che getta diverse ombre sull'incarico assunto dalla Anez. Quest'ultima infatti dovrebbe portare la Bolivia a nuove elezioni nonostante non abbia raggiunto il quorum sufficente per tale compito. La mancanza di una maggiranza parlamentare ha immediatamente provocato la reazione di Morales che dall' esilio in Messico ha rafforzato le sue accuse di golpe.

«Il Parlamento boliviano deve approvare o rifiutare le mie dimissioni. Finché non lo fa, sono ancora il presidente» ha detto l'ex presidente, aggiungendo poi un appello: «Chiedo ad organismi internazionali come l'Onu, paesi amici d'Europa e istituzioni come la Chiesa cattolica rappresentata dal Pontefice di accompagnarci nel dialogo per pacificare la nostra amata Bolivia» .

A livello internazionale il nuovo governo boliviano è stato riconosciuto ufficialmente solo dagli Stati Uniti, dal presidente brasiliano Bolsonaro e dall'autoproclamato leader del Venezuela Juan Guaidò, un po' poco per una legittimazione. A ciò si aggiunge il fatto che le tensioni sociali e gli scontri non sono ancora terminati. Immediatamente dopo la proclamazione della Anez sono scoppiati incidenti in un villaggio della zona orientale di Yapacani vicino alla città di Santa Cruz, durante una battaglia con le forze di polizia un ventenne è rimasto ucciso, vittima di un colpo d'arma alla fuoco alla testa.

Salgono a 10 i morti da quando, il 20 ottobre, è iniziata la crisi, all'indomani dei contestati risultati elettorali. La cifra è stata confermata sia dall'ultimo rapporto dell'ufficio del Procuratore generale che da Andrès Flores, direttore dell'Istituto indagini forensi. La maggioranza delle vittime è caduta nel corso di sparatorie.