PHOTO
A Oxford, nel 1969, c'erano due ragazzi americani inseparabili. Studenti modello, vivaci, pieni di idee. Amavano molto la politica ed erano di sinistra, come quasi tutti i ragazzi intelligenti di quell'epoca. Si assomigliavano un po' anche fisicamente: alti, coi capelli castani e ricci, la barba alla Che Guevara, l'eskimo. Facevano parte di un gruppetto impegnato nella lotta pacifista. Uno si chiamava Bill, l'altro Frank. Il capo era Frank. Prendeva i voti migliori all'università, era l'ideologo, aveva un'intelligenza fulminante e una personalità fortissima. I due ragazzi si trovarono a un certo punto di fronte allo stesso identico problema: partire o no per la guerra del Vietnam? Entrambi la consideravano una guerra ingiusta, vigliacca e imperialista. Decisero di non partire. Bill brigò con sapienza e riuscì a evitare la chiamata alle armi. Frank invece scelse la posizione di principio: «Non vado in guerra perché quella guerra è un'infamia». Fece obiezione di coscienza e se ne andò in esilio. Finì in Canada, senza un dollaro. Restò tre anni fuori degli Stati Uniti per sfuggire a un mandato di cattura per renitenza. Spediva lettere tristissime ai genitori.Scrisse anche qualche pagina di una commediola, nella quale immaginava il mondo di dieci anni dopo con grande pessimismo. C'è un brano di questa commedia che sembra una profezia: alcuni ex studenti di Oxford parlano del suicidio di un loro vecchio compagno di università, e uno dice a un altro: «Non mi ricordo qual era... ». L'altro gli risponde: «Quello tanto amico dell'attuale governatore dell'Arkansas».Due mesi dopo aver scritto questa commedia, nel settembre del 1971, a ventiquattro anni appena compiuti, Frank si suicidò davvero. Si sparò un colpo alla fronte con una Smith & Wesson rubata a un vicino. Sette anni dopo Bill fu eletto davvero governatore dell'Arkansas. E da qui iniziò a volare nel cielo politico fino a diventare il quarantaduesimo presidente degli Stati Uniti e ora, con ogni probabilità, il primo first-mister della storia americana.Bill, naturalmente, era Bill Clinton (all'anagrafe William Jefferson Blythe Clinton). Frank era un certo Frank Aller, studente originario di Spokane, media cittadina dello Stato di Washington. Clinton è sempre stato molto fedele alla memoria dell'amico. Quando era già presidente degli Stati Uniti ha dichiarato a un giornale: «Frank Aller è stata la persona più intelligente, più coraggiosa e più seria che io abbia mai conosciuto nella mia vita. Non credo che esistano uomini migliori di lui».Frank era un visionano, sceglieva sempre la via della testimonianza. Clinton invece non e mai stato un visionario. Ha sempre concepito la politica come l' arte concreta e terrena del possibile, del reale, dell' esistente: non delle utopie. Non ha mai disprezzato il compromesso e la manovra. È con queste armi che è arrivato al vertice del potere mondiale a soli quarantasei anni, e oggi, che ne compie settanta, è ancora lì, in primissimo piano, a fare il "Queen Maker" di sua moglie. Se Hillary vincerà le elezioni, come è abbastanza probabile, Bill, che è entrato alla Casa Bianca nel ?92, ne uscirà nel 2020 o addirittura nel 2024. Più di un trentennio, tutto vissuto dentro o ai mergini del potere politico supremo: nessuno mai c'è riuscito, neppure Roosevelt.Bill Clinton è nato nella piccola cittadina di Hope, Arkansas, il 19 agosto del 1946. La madre si chiamava Virginia Cassidy, le leggende dicono che fosse una lontana nipotina del famoso bandito Butch Cassidy. Il padre si chiamava William Blythe, ma era morto sei mesi prima della nascita di Bill, in un incidente d'auto. Il cognome lo ha preso dal patrigno, un tipo che Bill non ha mai amato, e una volta, quando aveva 14 anni, ha minacciato persino fisicamente, mostrandolgi i pugni, per difendere sua madre.Clinton ha avuto un'infanzia piuttosto difficile. I primi anni della sua vita li ha passati con i nonni materni, nel ghetto nero di Hope, dove i nonni abitavano perché le case lì costavano di meno. Erano gli anni del Ku Klux Klan e del segregazionismo. In uno Stato del sud come l'Arkansas il razzismo era ancora molto forte e spietato. Non era normale che i bianchi vivessero nel ghetto. Clinton dice che i suoi nonni in quegli anni della primissima infanzia gli insegnarono moltissime cose. Non solo gli insegnarono a odiare le leggi segregazioniste, ma gli insegnarono l'anticonformismo. Imparò che era possibile e giusto avere idee nettamente contrastanti con quelle della grandissima maggioranza. Toni Morrison, una signora ottantenne, afroamericana, che una trentina d'anni fa ha vinto il nobel per la letteratura, scrisse che Clinton è stato il primo presidente nero degli Stati Uniti. Nero? «Sì - spiegò - mangia hamburger e patatine, suona il sassofono, ama il sesso, è bugiardo per principio: è uno di noi... »L'infanzia fu difficile, ma Bill la superò brillantemente. Primo della classe, eletto nella rappresentanza dei giovani al Parlamento dello Stato, incaricato, nel 1963, di portare il saluto dell'Arkansas al presidente John Kennedy durante un incontro coi giovani alla Casa Bianca. Clinton ancora la conserva quella fotografia: Kennedy è preso da dietro, ma si riconosce bene; lui invece, 16 anni, è in primo piano, con un bel sorriso molto simile a quello che sfoggia ancora adesso nelle cerimonie ufficiali.Clinton fece l'università prima a Washington, alla Georgetown University, poi a Oxford nel 1969, e infine alla scuola di legge di Yale, dove conobbe Hillary e si fidanzò. Hillary era una brillante studentessa che veniva dalla prestigiosissima università di Wellesley. Si conobbero in biblioteca. Bill era timido, allora, fu Hillary ad attaccare discorso. E stata lei a raccontare quel pomeriggio di primavera del 1969: «Eravamo seduti ai nostri tavolini nella libreria di Yale. Ogni tanto ci lanciavamo delle occhiate. A un certo punto mi sono alzata, sono andata da lui e gli ho detto: "Vedi, se tu continui a guardarmi, e poi quando alzo gli occhi ti volti dall'altra parte, e se io faccio lo stesso, tutto questo è un po' ridicolo. Meglio se ci presentiamo, non ti sembra? Io mi chiamo Hillary Rodham... ». Iniziò cosi, in modo banalissimo, una storia d'amore molto lunga e un ancora più lungo patto politico e di potere che avrebbe avuto una influenza profonda sui destini del paese.Nel gennaio del 1992 Clinton era considerato favorito nella corsa alla nomination democratica, anche se si pensava che poi sarebbe stato battuto da Bush. Poco prima dell'inizio delle primarie, però, la signora Jennifer Flowers, cantante di cabaret, disse ai giornali che lei era stata l'amante di Clinton e che Clinton, quindi, aveva tradito la moglie. Poi raccontò un numero incredibile di dettagli, davvero imbarazzanti, sugli aspetti più intimi del loro presunto rapporto e sulle abitudini sessuali di Clinton. Non c'erano molti dubbi sulla veridicità del racconto della Flowers. Cosi la maggior parte degli osservatori politici diede per spacciato il governatore dell'Arkansas. I giornali scrissero che si era ripetuto il copione di otto anni prima, quando il brillante Gary Hart fu cacciato dalle primarie perché si scopri che aveva tradito la moglie, e la sua caduta spalancò le porte alla seconda vittoria di Reagan contro il grigio Mondale.Clinton invece riuscì a superare la bufera. Con l'aiuto assolutamente determinante di Hillary. La quale apparve in Tv con lui e ammise che - come in tutte le coppie - c'erano stati dei momenti di difficoltà nel rapporto tra lei e Bill. Ma sostenne che ciascuna coppia ha diritto di risolvere nella riservatezza i propri problemi e giurò che lei amava Clinton, ne era riamata, e che aveva piena fiducia personale e politica nella sua assoluta moralità e nel suo grande senso etico. Clinton si salvò, vinse le primarie e poi sconfisse Bush. E di nuovo fu determinante l'atteggiamento saggio e serio di Hillary, sei anni dopo, nei giorni dello scandalo Lewinsky, fotocopia del caso-Flowers e anche quello concluso con la vittoria elettorale di Clinton del ?98 (elezioni di mezzo termine) e con la rovina del suo avversario Newt Gingrich, il leader repubblicano che gli aveva scatenato contro la campagna moralista.Bill Clinton aveva iniziato la carriera politica a Washington. Era entrato nelle grazie del senatore William Fullbright, uno degli esponenti più prestigiosi del kennedismo. Poi rientrò in Arkansas e iniziò la scalata.Quali erano gli sponsor di Clinton? Sicuramente i raffinati intellettuali di Washington, come McGovern, Carter e Fullbright. Ma non sarebbero bastati se Clinton non avesse trovato in sede dei sostenitori forti. Quelli che ci misero i soldi. Il più importante fu un certo Don Tyson, ricchissimo allevatore e commerciante di polli. Tyson aveva sempre sostenuto i candidati democratici, come già avevano fatto suo padre e suo nonno; la sua era una famiglia di affaristi democratici. Don Tyson ha raccontato di aver notato e apprezzato Clinton già nella campagna elettorale del 1974 e di aver deciso allora di puntare parecchi soldi su di lui. In un'intervista al New York Times, Tyson ha spiegato che per lui gli uomini politici sono come i cavalli: bisogna scoprirli per tempo, quando sono giovani e sconosciuti, bisogna scommettere dei soldi su di loro e aspettare che vincano. Se vincono, allora i soldi in qualche modo tornano e tornano con gli interessi.Tyson nel 1978 appoggiò Clinton che era candidato a governatore dell'Arkansas, con una sola condizione: che Clinton si impegnasse, una volta eletto, ad alzare i limiti di peso nel trasporto dei polli sui camion. Era un affare molto importante. Nel 1978, in alcuni Stati americani il limite di peso per i camion in autostrada era di 40 tonnellate, mentre in Arkansas era di 35 tonnellate. Questo naturalmente danneggiava i commercianti dell'Arkansas che dovevano mandare ? e pagare ? otto camion per trasportare la stessa quantità dimerce che in altri Stati trasportavano con sette camion.Una volta eletto, però, il giovane governatore non mantenne la promessa. E Tyson andò su tutte le furie. Due anni dopo, quando si tornò a votare, Tyson abbandonò Clinton e si schierò con il suo avversario, il repubblicano Frank White, un giovanotto quasi sconosciuto e con scarsissime speranze. Il New York Times alla vigilia delle elezioni scrisse che il problema non era chi avrebbe vinto, ma con quanto scarto Clinton avrebbe travolto il povero White. Il parere del commerciante di polli però valeva più di quello del New York Times. Clinton fu sconfitto. E dopo essere stato il più giovane governatore del dopoguerra a trentadue anni, diventò, a trentaquattro, il più giovane ex governatore.Poteva essere la sua fine politica. Ma Clinton, che è un ottimista e un testardo, non si scoraggiò. Lavorò per due anni a preparare la campagna per il 1982. Corresse alcune sue posizioni radicali, che lo avevano portato ad aumentare le tasse sulla patente e sulle automobili, e due anni dopo essere stato sconfitto tornò in pista. Tyson era ancora con White, ma Clinton stavolta non sbagliò una mossa e vinse le elezioni alla grande. Dimostrò che la politica non necessariamente deve mettersi agli ordini del potere economico.Intanto cresceva il suo prestigio a livello nazionale. L'America degli anni ottanta è quella del trionfo di Reagan, della nascita del neoliberismo. Il sogno kennediano si era dissolto, la grande stagione dei diritti era finita, travolta dalla sconfitta del Vietnam e travolta dalla baldanzosità e dalla modernità della nuova destra. La quale dilagava. I candidati democratici alla presidenza venivano schiacciati e scomparivano. E' in quel clima che nasce la stella di Bill. Perfetto impasto di utopia e concretezza, di riforme e compromesso. Clinton è il Presidente che, con tutte le sue debolezze e contraddizioni, apre una porta. Cioè dice all'America e al mondo: «Una nuova stagione dei diritti è possibile, il mercato deve avere il suo ruolo, ma non può essere un sovrano assoluto, come è stato con Reagan».Ora Clinton, dopo gli otto anni di Obama, torna alla ribalta. Perché quando si dice Clinton, si dice Clinton: non Bill o Hillary. Hillary e Bill più o meno sono la stessa cosa. Difficile dire dove finisce l'uno e inizia l'altra. E viceversa. E Clinton, i Clinton, sono l'unica realtà politica forte, da trent'anni, al di fuori della cerchia del liberismo duro e puro.