Con le macerie ancora fumanti dell’ospedale Al-Ahli di Gaza e le piazze del mondo arabo in gran fermento, la visita in Medio Oriente di Joe Biden rischia di naufragare in fretta, riducendosi a una semplice e formale testimonianza di solidarietà con gli alleati israeliani.

Questa mattina doveva andare in Giordania il presidente Usa, dove avrebbe incontrato l’egiziano al-Sisi e il numero uno dell’Autorità nazionale palestinese Mahmmoud Abbas; un vertice importante per fermare l’escalation di violenza grazie al coinvolgimento diretto dei paesi della regione. Il vertice però è stato annullato all’ultimo momento dal padrone di casa, re Abdallah, proprio a causa della situazione nella Striscia. Poco importa se non è ancora chiaro chi sia il responsabile della strage (Tel Aviv e Hamas si accusano a vicenda), oltre all’ospedale quel missile ha colpito al cuore la mediazione diplomatica: «Non ci sono le condizioni per fermare la guerra» ha spiegato il ministro degli Esteri giordano Ayman Safadi. Non è escluso che si possa riaprire un tavolo nelle prossime ore magari preceduto da colloqui telefonici tra i leader, ma per il momento la diplomazia rimane al palo.

Roba da vanificare il fitto lavorìo del Segretario di Stato Usa Blinken, da dieci giorni in Medio Oriente in un autentico tour de force che lo ha portato in Egitto, Arabia saudita, Emirati arabi, Qatar, Barhein, Giordania e Cisgiordania per costruire una rete di fiducia attorno all’iniziativa degli stati Uniti. Impresa tutt’altro che facile fino a quando non si placheranno le manifestazioni anti-americane nelle capitali arabe. Ieri, ad esempio, ci sono stati violenti scontri davanti l’ambasciata Usa di Beirut con migliaia di persone che hanno raccolto l’appello alla «collera» lanciato dalle milizie sciite di Hezbollah. Nella capitale libanese la tensione è altissima, al punto che per precauzione Ryad a ordinato l’evacuazione del suo personale diplomatico.

In tal senso Biden non ha alcuna intenzione di limitarsi a interpretare il ruolo di sponsor acritico del governo Netanyahu, questione di credibilità e di efficacia. Evitare l’allargamento del conflitto è senza dubbio una priorità di Washington, ma lo è anche la condizione dei palestinesi di Gaza, assediati dall’esercito di Tel Aviv: riuscire a salvare gli sfollati o almeno a ridurre le loro sofferenze. Per questo il presidente Usa ha annunciato un pacchetto di aiuti di cento milioni di dollari per la popolazione della Striscia, ottenendo da Israele il via libera a far passare generi di prima necessità per i civili in fuga verso il sud di Gaza. Non è un dettaglio che nel loro incontro Biden abbia ribadito a Netanyahu la seguente ovvietà: «Hamas non rappresenta il popolo palestinese che in questo momento sta soffrendo», invitando così l’esercito israeliano a non colpire i civili e cioè a non assimilare ogni palestinese con un miliziano dell’organizzazione islamista.

L’inquilino della Casa Bianca ha, come è logico, offerto tutto il sostegno possibile allo Stato ebraico, elogiando «il coraggio» di una nazione accerchiata da nemici e puntualizzando che le forze militari statunitensi nella regione aiuteranno gli alleati per garantire la loro sicurezza. Ma di certo non li sosterranno in un’offensiva cieca e incontrollata su Gaza, potenzialmente devastante per i già precari equilibri regionali.

Biden sa bene che i massacri del 7 ottobre, i più estesi e cruenti nella storia di Israele, hanno provocato uno choc profondo nella società a tutti i livelli, proprio come accadde negli Usa all’indomani degli attentati di al Qaeda alle Torri gemelle e al Pentagono: «So che il 7 ottobre è stato il vostro 11 settembre, quegli orrori hanno fatto leva su una sorta di sentimento primordiale proprio come quelli che abbiamo provato noi: choc, dolore, rabbia», ha detto l’inquilino della Casa Bianca prima di lanciare un garbato avvertimento: «Non vi fate però consumare dalla rabbia come è accaduto a noi».

Chiaro il riferimento alla “guerra infinita” dell’amministrazione di George W. Bush e alle sciagurate occupazioni militari di Afghanistan e Iraq, un circolo vizioso che ha alimentato terrorismo e instabilità, offrendo all’America nuovi formidabili nemici e isolandola dalle stesse Nazioni Unite. Anche perché la linea del governo Netanyahu sembra proprio ricalcata sui furori dei neoconservatori americani e della loro ossessione del conflitto di civiltà.