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Bertinotti
L’ex presidente della Camera, Fausto Bertinotti, racconta di aver «apprezzato molti elementi della campagna elettorale dei Cinque Stelle (diversamente da quella del Pd), dal reddito di cittadinanza all’impianto sociale del lavoro» ma sottolinea che «se parliamo della rinascita della sinistra parliamo di un’altra cosa». Un qualcosa che secondo lui passa anche per le grandi questioni internazionali. «Come ha più volte detto il Papa, l’idea che si possa raggiungere la pace con il linguaggio della guerra mi pare paradossale e insensata spiega - La pace si fa tra i contendenti, quale che sia il grado di colpevolezza da una parte e dall’altra».
Partiamo dalle questioni interne: come giudica la vittoria del centrodestra alle Politiche e la sconfitta del centrosinistra?
La vittoria della destra guidata dalla Meloni è un fatto importante e vorrei che non fosse trascurato il punto di passaggio che questo certifica per l’Italia. Con queste elezioni è finito il dopoguerra contraddistinto dall’antifascismo. Si apre una fase a- fascista, che è una rottura con la storia dell’antifascismo della seconda metà del secolo scorso. Ma è finita anche la sinistra. Il centrosinistra, che è l’ultima veste in cui è entrata la sinistra politica, finisce qua. Con una sconfitta verticale del Pd, che è stato il perno di questa idea e di questa costruzione politica. Finisce, insomma, con un fallimento.
Come si può ricostruire la sinistra?
Prima i suoi protagonisti prendono atto di questo fallimento, prima si determina una possibilità di rinascita che altrimenti risulta impedita. La rinascita può avvenire su due terreni, uno che si muove dal basso e uno dall’alto.
Prego.
Dal basso, ovviamente, intendo dalla società e dalla riscoperta del valore fondante del conflitto. Sono molto stupito da come si cerchi ripetutamente una via di fuga da questa crisi verticale con parole d’ordine senza peso, senza significato, come “tornare nei territori”. Buoni propositi senza spina dorsale politica. Se il centrosinistra non ripensa tutte le politiche che in questo quarto di secolo hanno determinato una trasmigrazione da un campo all’altro della realtà sociale, cioè dai lavoratori al mercato, tutti i recuperi sono impossibili. La rinascita, insomma, passa da una nuova immersione nel conflitto.
E dall’alto?
Per muoversi dall’alto intendo tornare a lavorare a una nuova idea di società alternativa a questo modello economico e sociale. Ma questo processo deve nascere fuori dalle forze politiche esistenti, con processi simili a quelli visti in Europa. Da nessuna parte la nuova sinistra è nata da una costola dell’esistente. Poi naturalmente è in grado di incidere sul medesimo, ma da Podemos in Spagna alla France Insoumise di Mélenchon la ricostruzione della sinistra è passata da un processo inedito. E questo dovrebbe avvenire anche in Italia.
Pensa che nel nostro paese ci siano condizioni sociali a che questo avvenga?
L’Italia degli anni 70, dopo il biennio rosso, ha realizzato il ciclo di lotte sociali più intenso, più significativo e più capace di conquiste che si sia mai visto in tutta Europa. E che quindi è assolutamente replicabile. Aggiungo che il nostro tempo, diverso chiaramente dagli anni 70, invece di essere definito da lotte di lungo periodo è contrassegnato da rivolte e quindi da fenomeni imprevisti. Dieci giorni prima che nascessero i gilet jaunes, nessuno li aveva previsti. Eppure hanno dato vita a un conflitto sociale che ha cambiato la Francia e sul quale poi si è fondata la France Insoumise. L’Italia vive oggi un impoverimento pressoché generale dovuto all’inflazione, all’aumento del prezzo dell’energia, alla crescita del divario sociale tra nord e sud. Quindi mai dire mai.
Crede che un’esperienza del genere possa essere replicabile attraverso un dialogo tra le forze politiche del campo progressista?
Un’eventuale alleanza, dialogo, confronto tra le forze politiche esistenti è una risposta che non indaga le ragioni della sconfitta politica della sinistra. Tenta di appendersi a un esistente che è precisamente ciò in cui la sinistra è annegata. Pensare di trovare la soluzione attraverso le alleanze invece che attraverso la ridefinizione del soggetto della sinistra è improbabile. Ho apprezzato molti elementi della campagna elettorale dei Cinque Stelle, diversamente da quella del Pd, dal reddito di cittadinanza all’impianto sociale del lavoro, ma se parliamo della rinascita della sinistra parliamo di un’altra cosa.
In che modo la nuova sinistra dovrebbe scendere in piazza a manifestare contro la guerra di Putin?
In una mobilitazione per la pace è bene che partecipino tutti quelli che sono contro la guerra e a favore del disarmo. Ma bisogna recuperare integralmente l’opzione pacifista. Penso che questa sia una discriminante fondamentale, una componente indispensabile del processo di rinascita della sinistra. Occorre immergersi nel ripensamento di una cultura pacifista. È una scelta di campo imprescindibile.
Come si può arrivare alla fine del conflitto in Ucraina?
Nell’unico modo possibile: occorre deporre le armi della guerra e far parlare la diplomazia. Come ha più volte detto il Papa, l’idea che si possa raggiungere la pace con il linguaggio della guerra mi pare paradossale e insensata. Serve una rottura rispetto allo schema della guerra per arrivare al primato della diplomazia. La pace si fa tra i contendenti, quale che sia il grado di colpevolezza da una parte e dall’altra. Il cui dato è irrilevante se considerato il desiderio superiore della pace. Siamo arrivati al punto che uno degli uomini più ricchi del mondo ( Elon Musk, ndr) ha proposto il suo piano di pace e non l’hanno fatto fior fiore di stati.
Non pensa che quel piano preveda condizioni inaccettabili per Kiev?
Non so, di certo designa un campo sul quale confrontarsi. Ma io, come molti, penso che serva un dialogo tra Cina e Stati Uniti, potenze incombenti nella guerra tra Russia e Ucraina. Occorre un cambio di paradigma, cercando di individuare una possibile mediazione, un possibile punto d’incontro che siccome i contendenti non sono in grado di realizzare deve essere portato dall’esterno. Una volta toccava alle Nazioni Unite, ora tocca alle grandi potenze ma anche a soggetti terzi come l’Europa, che in maniera inaudita è solo una cassa di risonanza di questo conflitto.