È giunta al diciottesimo giorno dello sciopero della fame, ma dalle istituzioni ancora silenzio. Parliamo di Rita Bernardini, coordinatrice della presidenza del Partito radicale nonviolento transnazionale transpartito, che dalla mezzanotte del 5 febbraio ha intrapreso lo sciopero della fame per chiedere che la discussione e l’approvazione della riforma dell’ordinamento penitenziario venga estrapolata dal ddl penale.

È al diciottesimo giorno dello sciopero della fame: perché questa iniziativa?

Con il Partito radicale voglio aiutare il ministro della Giustizia Andrea Orlando e il Parlamento a fare ciò di cui sono già convinti e cioè la riforma dell’ordinamento penitenziario che è stata oggetto di studio e di proposta attraverso il lavoro dei 18 tavoli degli Stati generali dell’esecuzione penale sui quali ha molto puntato proprio il ministro Orlando. Che si fa ora, si butta tutto a mare? Abbiamo fatto uno dei tanti convegni o, come mi auguro, un’opera volta a rendere l’esecuzione penale corrispondente a precetti costituzionali?

Perché è così importante la riforma dell’ordinamento penitenziario?

Il disegno di legge delega di riforma prevede punti essenziali per rendere legale l’esecuzione penale: incremento della possibilità d’accesso alle pene e alle misure alternative anche per i recidivi, maggiori possibilità di lavoro, di formazione e di studio sia in carcere che una volta usciti, giustizia riparativa e apertura del carcere alla società esterna, accesso alle cure, particolare attenzione e riguardo ai tossicodipendenti e ai malati psichiatrici, effettivo diritto all’affettività affinché la persona reclusa mantenga rapporti stabili con i familiari, in particolare con i figli minori. Tutti gli studi ci dicono che per scongiurare la recidiva, le pene e le misure alternative al carcere sono più efficaci di quest’ultimo per ridurre il tasso di delinquenza.

Lo sciopero della fame, come quello precedente, è anche finalizzato a porre l’attenzione sulla necessità dell’amnistia. È ancora un provvedimento urgente?

Direi imprescindibile se vogliamo cominciare a porre rimedio allo sfascio della giustizia. Marco ( Pannella) vi ha dedicato la vita, rischiandola in innumerevoli occasioni. Guardi allo scandalo di Torino con il processo per stupro caduto in prescrizione: se i magistrati non avessero avuto le loro scrivanie ingombre di processi per reati minori quel fascicolo sarebbe stato oggetto di attenzioni già molti anni fa e non sarebbe stato letteralmente cancellato com’è accaduto. Il nostro Stato è illegale anche da questo punto di vista: le condanne che abbiamo subito e continuiamo a ricevere dall’Europa non sono solo per “trattamenti inumani e degradanti” nelle carceri; ne abbiamo ricevute di “seriali” anche per l’irragionevole durata dei processi. Una sentenza che arriva tardi è di per sé ingiusta sia per le vittime sia per i colpevoli, che è bene paghino subito per i loro reati. Con il trascorrere di tanti anni le persone cambiano e si ritrovano magari a dover finire in carcere quando con grande fatica sono riuscite a costruirsi una posizione dignitosa nella società. La giustizia ritardata è giustizia negata a tutta la collettività anche in termini di sicurezza. Se poi consideriamo gli errori giudiziari, che sono almeno mille ogni anno, l’ingiustizia diviene mortifera per gli incolpevoli che si ritrovano sulla graticola di un processo interminabile per una buona fetta della loro vita.

L’ergastolo ostativo e il 41 bis sono altri due obiettivi delle vostre battaglie.

Esistono diritti umani fondamentali che non possono essere negati nemmeno al peggior criminale, pena il degrado dello Stato di diritto al livello della più bassa abiezione. Togliere la speranza di riscatto, di riabilitazione, dopo 20 o 30 anni di carcere, significa degradare un essere umano allo stato di “non persona”. Lo stesso vale per i condannati all’isolamento del 41- bis, per anni, a volte per sempre. È tortura legalizzata come anni fa hanno documentato in un libro shock i miei compagni Sergio D’Elia e Maurizio Turco. Oggi viene in aiuto della nostra lotta Papa Francesco che definisce l’ergastolo “una pena di morte nascosta” e ammonisce gli Stati sull’uso del carcere duro, oltre che esortarli a un provvedimento di Amnistia.

Il ministro Orlando non l’ha più incontrata per ricevere il “libro della nonviolenza' che contiene le lettere con i nomi dei ventimila detenuti che il 5 e 6 novembre del 2016 hanno digiunato per sostenere gli obiettivi della scorsa marcia radicale...

Avrei voluto sinceramente farlo. Mi auguro che non si sia risentito quando ho definito “deludente” il suo intervento all’inaugurazione dell’anno giudiziario soprattutto quando ha dichiarato superata l’emergenza sovraffollamento mentre noi, che le carceri le visitiamo, documentiamo da almeno un anno la ripresa di questo fenomeno. Non dispero però, perché ho fiducia nel dialogo, nella sua intelligenza e nei suoi buoni sentimenti. Sono sicura che si commuoverà quando leggerà i nomi di quei 20.000 reclusi che scelgono la strada della nonviolenza come metodo di lotta politica.

Ci sono stati segnali da parte di alcune personalità politiche che condividono la sua battaglia?

Ogni giorno è possibile ascoltare da Radio Radicale queste voci di condivisione dell’obiettivo. Persino da parte dei parlamentari che vorrebbero l’approvazione della riforma penale nel suo complesso, alla fine c’è il ragionevole “compromesso” di portare a casa almeno quella dell’ordinamento penitenziario, estrapolandola dal resto del disegno di legge.

E da parte della popolazione detenuta ci sono state adesioni allo sciopero della fame?

Oh, si certo, e mi danno forza. Finora ne sono arrivate 481 e sono sicura che da tutta Italia giungerà - e non solo dai detenuti - ulteriore sostegno a questo sciopero della fame e alla Marcia per l’Amnistia che abbiamo convocato per il 16 aprile, il giorno di Pasqua.

Alcuni pensano che lo sciopero della fame dei radicali non porti più a niente e che abbia perso, nel tempo, la sua efficacia. Altri pensano che tale iniziativa sia un ricatto, come per dire “se il parlamento non mi ascolta, io muoio di fame e mi avranno sulla coscienza”.

Il presupposto della nonviolenza è di far emergere le convinzioni profonde degli interlocutori che si scelgono; nel mio caso, il Parlamento, il ministro Orlando e, per certi versi, anche il Presidente della Repubblica, garante supremo dei principi costituzionali. Sono io a dire loro: se pensate che il mio non mangiare sia un ricatto, ignoratemi perché la ragione è dalla vostra parte. Credo, invece, che la nonviolenza radicale sia tutt’altra cosa: un modo di dare forza al “potere” affinché compia gli atti coerenti con i valori, i principi e le norme fondamentali che sono alla base della sua stessa legittimità. D’altra parte, che senso avrebbe raggiungere un obiettivo giusto attraverso un’estorsione, un ricatto? Al fatto che i mezzi che si usano prefigurino i fini che si vogliono raggiungere io credo profondamente. Il mio sciopero della fame e quello dei detenuti e delle loro famiglie voglio che scandisca il tempo che passa e solleciti attenzioni; più il tempo passa più chi ha il potere di intervenire dovrebbe sentirsi responsabile rispetto a provvedimenti che peraltro sono già molto in ritardo, se abbiamo a cuore lo Stato di diritto che è in primo luogo rispetto dei diritti umani fondamentali. Il tempo nella vita è tutto, facciamo in modo che non trascorra invano.