L’inchiesta sugli scandali finanziari della Santa Sede doveva essere approfondita ma anche riservata e garantista nei confronti degli indagati, senza concedere nulla alla macchina del fango giustizialista che già tanto aveva danneggiato la Chiesa.

Invece, anche questa volta i corvi vaticani hanno recapitato un documento riservato sulla scrivania di un giornale: la disposizione di servizio con i nomi e le foto in formato “ricercati speciali”, dei cinque funzionari sospesi cautelarmente dalle loro funzioni.

Un fatto comune e di quasi nessun conto per la giustizia italiana, in cui i nomi degli indagati finiscono presto in pasto alla stampa, spesso anche prima dell’avviso di chiusura delle indagini o della notifica di un avviso di garanzia. Non così in Vaticano: vedere sulle prime pagine dell’Espresso i cinque visi in fila ha mandato su tutte le furie il Pontefice, il quale si è particolarmente indignato per il caso di Caterina Sansone, unica donna coinvolta e madre di famiglia, come i colleghi ritratta in un volantino stile “wanted” sa serie poliziesca americana.

Così è partita la contro inchiesta: scovare gli autori della soffiata che, per usare le parole del Pontefice, è «di gravità paragonabile a un peccato mortale, poiché lesivo della dignità delle persone e del principio della presunzione di innocenza». Una presunzione di innocenza che, almeno secondo il Pontefice, tutela gli indagati anche nella fase preliminare, difendendoli dalla gogna mediatica.

Dopo tre giorni di inchiesta interna senza esito per individuare il responsabile, a dimettersi è stato il capo, il comandante della Gentarmeria e “angelo custode” del Papa, Domenico Giani, ha rassegnato le sue dimissioni dopo vent’anni di servizio alle dipendenze di ben tre pontefici. Lui si è assunto la responsabilità oggettiva dell’accaduto, pur non avendo alcun coinvolgimento diretto nella divulgazione delle carte riservate.

«Si parlava di gogna mediatica, e ora sulla gogna ci sono io», ha detto Giani al Corriere della Sera, che ha ammesso come «L’uscita di questo documento, pubblicato da alcuni organi di stampa ha certamente calpestato la dignità di queste persone. Anche io come comandante ho provato vergogna per quanto accaduto e per la sofferenza arrecata a queste persone».

Un esempio, quello del comandante, che dovrebbe servire a mettere in allerta i corvi: sotto il pontificato di Francesco non c’è spazio per crociate a mezzo stampa tra le diverse fazioni di Oltretevere.