Toghe contro toghe. Nella vicenda giudiziaria che ha coinvolto il sindaco di Riace, Mimmo Lucano, arrestato lo scorso due ottobre per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, si sta consumando in questi giorni anche uno scontro tutto interno alla magistratura.

Non solo le inevitabili polemiche politiche sollevate dall’arresto di Mimmo Lucano, ma anche contrasti “endoprocedimentali” fra magistrati. Ad accendere la miccia è stato il lungo comunicato stampa, firmato dal procuratore di Locri Luigi D’Alessio, con cui si dava notizia dell’arresto di Lucano. Un comunicato insolitamente lungo dove, oltre ad essere riportati ampi stralci delle intercettazioni telefoniche eseguite a carico del sindaco di Riace, il procuratore esprimeva pesanti giudizi di valore nei confronti dell’operato del primo cittadino, ritenuto di fatto colpevole senza appello. A balzare agli occhi, poi, era anche l’anticipazione da parte del capo della Procura di Locri del ricorso al Tribunale della libertà. La valutazione del gip, che non aveva condiviso il quadro accusatorio degli inquirenti, era fortemente censurata.

A questo “anomalo” comunicato replicava, in modo anch’esso “anomalo”, il presidente di Magistratura democratica, Riccardo De Vito, pubblicando sul sito della corrente “Questione giustizia” l’integrale ordinanza del gip. «Il miglior antidoto alla grancassa della speculazione che si è messa subito in moto, con il mini- stro dell’Interno», scriveva De Vito motivando la sua decisione. «Dall’esame del provvedimento emerge che il giudice per le indagini preliminari ha escluso la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza per le imputazioni di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche, falsità ideologica commessa dal pubblico ufficiale, concussione, malversazione a danno dello Stato, associazione a delinquere», proseguiva De Vito, svilendo di fatto l’intera indagine e anticipando una decisione che spetta al collegio del Tribunale della libertà.

Va ricordato che anche D’Alessio è una toga di Magistratura democratica. La vicenda, al netto delle opposte “tifoserie” giudiziarie sul fascicolo a carico di Lucano, apre a diverse considerazioni. La prima è sicuramente la reiterazione della prassi, in violazione dell’art. 114 cpp, di comunicare alla stampa il contenuto delle intercettazione telefoniche. La seconda riguarda l’ormai centralità delle indagini preliminari nel processo penale italiano. La «delocalizzazione del dibattimento», come disse il presidente della Cassazione Giovanni Canzio. La terza, infine, su quanto sia difficile una corretta informazione giudiziaria. Lo scorso luglio il Csm aveva a tal proposito approvato all’unanimità le «Linee guida sulla comunicazione degli Uffici giudiziari», una circolare per una informazione basata sulla «trasparenza e comprensibilità» dell’attività giurisdizionale. Fra i punti salienti: rispetto dei diritti della difesa, tutela della presunzione di non colpevolezza, grande attenzione ai termini da utilizzare. Elementi non facili da rintracciare nel comunicato del procuratore di Locri ai cui, sempre secondo la circolare, «compete indicare la migliore strategia comunicativa, valutare i rischi di una eccessiva esposizione mediatica».

Da Palazzo dei Marescialli, nessun commento. Sono giorni febbrili per l’insediamento delle Commissioni. L’unico commento viene da un ex laico del Csm Pierantonio Zanettin, attuale componente della Commissione giustizia di Montecitorio. «La magistratura, purtroppo, non vuole riconoscere la funzione normativa del Csm», dichiara il parlamentare di Forza Italia. «Sorprende che si disattendano i lavori di una Commissione che ha operato per mesi con il contributo di giornalisti e scrittori, come Francesco Giorgino e Gianrico Carofiglio, sotto la supervisione dell’ex presidente della Corte di Cassazione Giovanni Canzio. Visto che i magistrati non riescono a “regolarsi” autonomamente toccherà inevitabilmente al legislatore provvedere al riguardo», conclude Zanettin.