Silvana Arbia è stata Prosecutor del Tribunale Penale Internazionale per il Ruanda. Magistrato di origini lucane, ha ottenuto le condanne di alcuni dei principali responsabili del genocidio consumatosi poco più di vent'anni fa e oggi guarda con preoccupazione alla situazione in Siria.La guerra civile e la crisi umanitaria in Siria saranno al centro di un processo davanti ad un Tribunale internazionale?Esistono fatti e circostanze che possono qualificare le azioni criminali che si sono commesse e che si stanno commettendo in Siria come crimini internazionali. In particolare, si tratta di crimini contro l'umanità, il cui elemento contestuale deve essere un attacco generalizzato o sistematico contro la popolazione civile e crimini guerra che presuppongono l'esistenza di un conflitto interno o internazionale. Anche la natura della crisi, che ha responsabilità nazionali e internazionali, la gravità dei crimini e il numero delle vittime qualificano i massacri come crimini internazionali.Concretamente, la giurisdizione internazionale potrà intervenire in Medio Oriente?Attualmente l'intervento della Corte penale internazionale, ovvero della sola giurisdizione internazionale già esistente, non è possibile perchè la Siria non è parte dello Statuto di Roma e il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite non ha deciso un referral, a causa del veto di uno dei suoi cinque membri permanenti. Manca, ad oggi, la volontà politica di trattare la crisi della Siria come quelle della Libia e del Sudan. La creazione di un Tribunale internazionale ad hoc, peraltro, non sembra sia seriamente considerata. Il trascorrere del tempo pregiudica la raccolta delle prove e la possibilità di perseguire e punire i responsabili di quei crimini internazionali.Sono passati più di vent'anni anni dal genocidio in Ruanda. Cosa ha insegnato quel bagno di sangue?Il genocidio perpetrato nel 1994 in Ruanda poteva essere evitato. Molti segnali erano emersi anni prima, ma la comunità internazionale non ha svolto il ruolo che avrebbe potuto svolgere. Le missioni Unamir e le altre presenze internazionali non hanno esercitato azioni efficaci di prevenzione, di valutazione adeguata dei rischi. L'istituzione di un Tribunale penale internazionale ha perseguito e punito i crimini commessi durante tre mesi circa, ma ha avuto costi elevati e sono serviti sforzi immani per ottenere la cooperazione degli Stati, al fine di arrestare e trasferire al TPIR (Tribunale Penale Internazionale per il Ruanda, ndr) gli imputati, proteggere i testimoni, celebrare i processi.Quanto si è evoluto il diritto internazionale penale dopo i fatti del Ruanda e della ex Jugoslavia?Più che di evoluzione preferisco parlare di costruzione di una giurisdizione penale internazionale indipendente e imparziale. Il Tribunale penale internazionale per il Ruanda con il Tribunale penale internazionale per la ex Jugoslavia ha condiviso norme sostanziali e processuali. Il TPIR ha emesso la prima sentenza sul crimine di genocidio, nel caso Akayesu. La prima condanna di un capo di governo nel caso Kambanda, la prima condanna contro un sacerdote nel caso Seromba e la prima e unica condanna in campo internazionale di una donna, Pauline Niyramasuhuko, di cui ho presentato personalmente il prosecution case. Si trattava dell'ex ministro per la famiglia e la protezione della donna, condannata per genocidio, crimini contro l'umanità e crimini di guerra.La mattanza ruandese ha avuto nei mezzi di comunicazione i migliori alleati?La propaganda attraverso la radio, la televisione e la stampa ha avuto un ruolo fondamentale per eseguire in poco tempo i massacri, disseminare l'odio e persuadere i comuni cittadini che i Tutsi e gli Hutu, che non aderivano al piano di sterminio, dovessero essere eliminati. Il crimine del genocidio ha tra le sue particolarità quella di essere integrato dalla istigazione se diretta e pubblica, anche se non vi è commissione di atti materiali di eliminazione in tutto o in parte di uno dei quattro gruppi protetti (etnico, razziale, nazionale e religioso).Dall'Africa si fugge per raggiungere l'Europa. Si parla da decenni dei tanti problemi del continente, ma sembra impossibile che si creino lì delle situazioni di stabilità e miglioramento delle condizioni di vita?Avendo trascorso quasi nove anni in Africa, mi sono resa conto di quanto poco la conosciamo. Ha un solo nome, ma è composta da Stati e regioni molto diversi tra loro, con storie, tradizioni e bisogni estremamente vari. Spesso si tratta di territori ricchissimi, che certe politiche interne e internazionali vogliono però qualificare come "poveri". Questa concezione dell'Africa è simile a quella del Sud dell'Italia, della Basilicata in particolare, in cui per moltissimi anni l'abbandono e l'assenza di programmi di sviluppo ha costretto molti a partire, svuotando le comunità. Eppure, è incontestabile che la Basilicata sia ricchissima di risorse, tra cui quella preziosa dell'acqua. L'accoglienza delle masse che si muovono verso l'Europa è la risposta all'emergenza, ma non la soluzione dei gravi problemi di paesi con una democrazia ancora fragile e uno sviluppo mancato, ancora con legami con il passato coloniale.