Il piano per l’occupazione totale della Striscia di Gaza, voluto dal primo ministro Benjamin Netanyahu, nonostante le perplessità espresse dai vertici militari, a partire dal capo di Stato maggiore Eyal Zamir, verrà attuato.

Non sono bastate dieci ore di riunione del gabinetto di sicurezza per far scendere a più miti consigli Bibi. Le operazioni per il controllo completo della Striscia saranno caratterizzate anche da un elemento fortemente simbolico. Il prossimo 7 ottobre, data del secondo anniversario degli attacchi di Hamas che causarono la morte di circa 1.200 israeliani, è prevista l’evacuazione di Gaza City. Un obiettivo non scontato e che tormenta i generali di Tsahal. Qui si potrebbe verificare un bagno di sangue per i civili palestinesi e per i militari con la stella di David. Qui si concentrerebbe il maggior numero di ostaggi israeliani del 7 ottobre 2023.

La guerra urbana è da sempre considerata un incubo per tutti gli eserciti e un numero considerevole di vittime tra i militari è da mettere in conto. I residenti di Gaza City – un tempo erano circa 2 milioni, ora ne sono rimasti 800 mila - che non andranno via verranno considerati nemici da eliminare, poiché l’intento dell’Idf è quello di liberare la città più popolosa della Striscia dagli estremisti di Hamas. Da Gaza City si procederà con l’ulteriore avanzata verso Sud e passare dall’attuale controllo del 75% di territorio della Striscia al 100%. Facile a dirsi, la realtà ha però altre sembianze.

In tale contesto l’ufficio del premier ha specificato che Israele fornirà aiuti umanitari alla popolazione civile situata lontana dalle zone di combattimento. Sono state individuate dallo Stato d’Israele cinque condizioni, che devono essere rispettate prima di cessare la guerra contro Hamas. Il gruppo terroristico deve procedere al disarmo. Tutti i 50 ostaggi devono essere rilasciati (l’intelligence di Tel Aviv ritiene che 20 di loro siano ancora vivi). Occorre smilitarizzare la Striscia di Gaza con conseguente controllo israeliano della sicurezza su tutto il territorio. Infine, dovrà essere creato un governo civile alternativo non identificabile con Hamas o con l’Autorità nazionale palestinese. Di qui il coinvolgimento di non meglio specificate “forze arabe”.

Nella riunione fiume svoltasi tra giovedì notte e venerdì mattina il tenente generale Eyal Zamir ha ancora una volta espresso contrarietà verso le idee espresse da Netanyahu. Secondo fonti giornalistiche israeliane, il capo di Stato maggiore ha detto che «la vita degli ostaggi sarà in pericolo se andiamo avanti con questo piano di occupazione di Gaza». Zamir prevede che l’occupazione completa della Striscia di Gaza potrebbe richiedere anche due anni di operazioni militari con una fase iniziale di combattimenti intensi di almeno cinque mesi. «Non c’è modo – ha aggiunto Zamir, riferendosi agli ostaggi - di garantire che non faremo loro del male. Le nostre forze sono esauste, gli strumenti militari necessitano di manutenzione e ci sono preoccupazioni umanitarie e sanitarie per la popolazione palestinese». Parole che hanno provocato l’ira dei componenti dell’ala più estremista e intransigente del gabinetto di sicurezza, i quali avrebbero urlato contro il capo dell’esercito.

Da più parti si sono alzate voci molto critiche nei confronti del “piano Netanyahu”. A detta del premier britannico Keir Starmer, la decisione del governo israeliano di intensificare ulteriormente l’offensiva a Gaza è «sbagliata» e da riconsiderare immediatamente, poiché l’operazione «non farà nulla per porre fine al conflitto o garantire il rilascio degli ostaggi e porterà solo altro spargimento di sangue».

Una presa di posizione che accresce le tensioni tra Regno Unito e Israele. La scorsa settimana Londra ha dichiarato di voler riconoscere lo Stato di Palestina a settembre, se Israele non accetterà un cessate il fuoco. Dal canto suo Tel Aviv potrebbe interrompere la cooperazione in materia di sicurezza con il Regno Unito, nel caso in cui Starmer procederà con il riconoscimento all’Assemblea generale dell’Onu a settembre.

La Germania, secondo maggiore fornitore di armi di Israele, ha deciso di interrompere le vendite. L’annuncio del cancelliere Friedrich Merz è stato motivato dal fatto che l’intensificarsi dei combattimenti sta mettendo sempre di più in pericolo gli ostaggi rimasti a Gaza con l’aggravarsi del disastro umanitario nell’area.

L’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, Volker Turk, ha dichiarato che il piano del governo israeliano per la conquista militare della Striscia di Gaza deve essere «immediatamente fermato», «va contro il pronunciamento della Corte Internazionale di Giustizia che chiede a Israele di porre fine all’occupazione il prima possibile, la realizzazione della soluzione a due Stati concordata e il diritto dei palestinesi all’autodeterminazione».

In soccorso di Netanyahu è andato il vicepresidente degli Stati Uniti, J.D. Vance. L’amministrazione Trump, ha rilevato il numero due della Casa Bianca, è «in disaccordo» con Israele sulla prosecuzione della guerra a Gaza. Washington comunque condivide gli obiettivi di Gerusalemme. Si tratta dell’unico sostegno in favore della “dottrina Netanyahu” che sta allontanando sempre di più Israele dal resto del mondo.