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Associated Press/LaPresse
L’ucraino Oleksandr Usyk è uno dei paradossi più belli dello sport contemporaneo. Imbattuto campione del mondo dei pesi massimi, sfoggia un fisico minimalista, un’altezza modesta per la categoria e muscoli appena accennati, un folletto che danza tra i colossi. Eppure, ogni volta che sale sul ring sembra avvolto da un’aura difficile da spiegare, che lo porta a dominare gli avversari con la grazia e la precisione chirurgica degna dei grandi del passato.
Il suo stile è inclassificabile, Usyk non picchia ma danza come un ballerino classico, le sue schivate sono movimenti coreografici, pare leggero come una piuma, eppure ogni colpo arriva rapido dove deve arrivare. Da dilettante ha vinto tutto: oro olimpico a Londra 2012, campione europeo e poi mondiale. Da professionista ha attraversato la categoria dei cruiserweight come un’onda inarrestabile, conquistando tutte le cinture e lasciando dietro di sé una scia di pugili frustrati, battuti con la sua tecnica sublime e sfibrante. Poi, nel 2020, a 33 anni, il salto tra i giganti che fa arricciare il naso ai critici: troppo piccolino e privo del cosiddetto “pugno letale” per poter competere con i migliori. Naturalmente si sbagliavano, uno dopo l’altro se li è messi tutti in ha tasca: Derek Chisora, Anthony Joshua due volte, il grande Tyson Fury che era imbattuto da 16 anni, e infine Daniel Dubois per altre due volte.
Fuori dal ring Usyk è un gentiluomo d’altri tempi, lontano anni luce dalle provocazioni, dalle urla sguaiate, dalla spacconeria e dai muscoli gonfiati davanti le telecamere, sempre ironico e rispettoso dell’avversario, grande maestro della guerra psicologica, capace di trasformare ogni sfida in una partita di scacchi. E il pubblico lo adora senza freni: «Usyk, Usyk!» gridavano sabato sera gli spettatori di Wembley mentre stava demolendo il beniamino di casa Dubois, una scena che ricorda il finale di Rocky IV.
Nel 2022 dopo l’invasione russa dell’Ucraina è andato al fronte senza pensarci due volte, rinunciando a borse milionarie preferendo difendere il suo Paese piuttosto che il titolo di campione del mondo. Ha fatto parte delle Forze di difesa territoriale e ha collaborato alla campagna “Battle for Light” per il ripristino dell’energia elettrica nelle zone bombardate. Fosse per lui sarebbe ancora in prima linea. È stato il presidente Zelensky in persona a convincerlo a tornare sul ring come ambasciatore globale della causa ucraina e del suo popolo. E aveva ragione.
Perché in fondo la boxe del “piccolo” Oleskandr Usyk rappresenta tutte le qualità della sua nazione, concentrata, disciplinata e resistente di fronte alla forza bruta e sgraziata degli invasori.