Eugenio Albamonte non è solo il presidente dell’Anm passato alla storia per la più sincera apertura al dialogo con gli avvocati — tanto da essere stato anche il primo a partecipare a un plenum del Cnf. Il pm della Procura di Roma è adesso al vertice della corrente, Area, divenuta il baricentro “politico” della magistratura associata. Il gruppo, non a caso, esprime il presidente dell’Anm attuale, Luca Poniz, e ha, con Autonomia e indipendenza di Piercamillo Davigo, la maggioranza al Csm. Se allora proprio Albamonte arriva a dire che «se non si elimina dal tavolo della discussione sul ddl penale la responsibilità disciplinare per i magistrati, è inutile discutere di tutto il resto», se un approccio così netto viene proprio dal segretario di Area, il segnale, per il governo, non è affatto da sottovalutare.

Il no suo e dell’intera magistratura pone un problema vero, la responsabilità disciplinare in capo ai giudici per i processi lunghi è un cardine del ddl. O non è così?

Terrei a dire una cosa: credo di essere stato il primo a segnalare la gravità dell’ipotesi ora tradotta in disegno di legge. Ci tengo anche per averlo fatto proprio con un intervento sul vostro giornale, firmato quando ancora non ne parlava nessuno.

La cosa è agli atti, è il caso di dire.

Bene: è evidente che se si esclude la norma sulla responsabilità disciplinare di noi magistrati, la riforma appena deliberata in Consiglio dei ministri non contiene praticamente nulla, rispetto ai tempi del processo.

Il peso della accelerazione sarebbe tutto sulle spalle dei giudici, minacciati di sanzioni se non la garantiscono?

Parliamo di una misura improduttiva dal punto di vista dei tempi ma anche assurda sul piano concettuale. Tanto più che ai magistrati italiani le statistiche, quanto meno, riconoscono il più alto tasso di produttività del Vecchio Continente. Abbiamo tenuto in piedi la macchina della giustizia nonostante fossimo stati abbandonati a noi stessi. Ciò detto, è chiaro che rispetto alla riforma così proposta si può solo pronunciare una bocciatura su tutta la linea.

Come si esce dal labirinto?

Innanzitutto vanno potenziate le risorse: l’organico dei magistrati ma anche le infrastrutture tecnologiche e organizzative. Va poi realizzata una seria depenalizzazione. Quindi si potrà intervenire infine con meccanismi che velocizzino i processi.

Anm e avvocati avevano proposto un’ampia depenalizzazione.

Che non mi pare abbia incontrato particolare disponibilità da parte del ministro. D’altronde il precedente governo era tutto orientato a innalzare le pene e a introdurre nuovi reati. L’esatto contrario.

Bonafede convoca il tavolo fra avvocati e magistrati nonostante il dissenso di entrambe le parti: la scelta non è, proprio per questo, coraggiosa?

Però i tavoli vanno riuniti prima, non a cose fatte, quando al massimo si può introdurre qualche correttivo. E non credo che da parte della magistratura possa esserci collaborazione, se l’asse portante resta la responsabilità disciplinare.

Se è così, a suo giudizio, neppure si può discutere del resto?

No, anche perché il resto è poca cosa. Sarebbe stato assai più sensato lavorare sui 20 punti concordati da Anm e Unione Camere penali, anziché procedere su una strada del tutto nuova. L’estensione del patteggiamento è stata ridimensionata, nel ddl, e non è stato ripristinato, come chiesto dal primo tavolo, l’abbreviato per i reati da ergastolo. Averlo abolito comporterà danni notevoli: sarebbe bastato intervenire su riferimenti edittali e attenuanti.

Il fatto che il presidente del Cnf Mascherin abbia insistito perché il ministro riaprisse il tavolo con i magistrati conferma che le difficoltà non hanno scalfito la fiducia nel dialogo?

Da parte della magistratura, l’ambizione a ragionare insieme con l’avvocatura non è mai stata smarrita. Resta tutta la disponibilità, siamo pronti al dialogo. E personalmente resterò sempre onorato dell’aver partecipato, primo presidente dell’Anm a farlo, a un plenum del Cnf.

Ma la magistratura può accontentarsi del blocco della prescrizione, a cui era favorevole?

Adesso si deve ragionare sull’esistente: i tentativi di differire la nuova prescrizione sono saltati, l’unica strada sarebbe velocizzare la macchina giudiziaria al punto da rendere irrilevante il tema della prescrizione. Ma intravedo ben altro esito.

Quale?

La contrarietà di magistrati e avvocati potrebbe essere fraintesa come un viatico: non piace a nessuno, perciò è una buona riforma. Invece no: non piace a nessuno perché è una riforma davvero sbagliata.