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Juliane Assange
Julian Assange potrebbe essere estradato negli Stati Uniti dove è accusato di spionaggio per le rivelazioni di Wikileaks. Lo ha stabilito l’Alta Corte britannica che ha accolto il ricorso degli Stati Uniti, così rovesciando la sentenza di primo grado con cui lo scorso gennaio la giudice distrettuale Vanessa Baraitser aveva negato l'estradizione per il rischio che il giornalista si suicidasse in prigione. Secondo la Corte, il governo degli Stati Uniti ha offerto garanzie sufficienti che Assange riceverà cure adeguate per proteggere la sua salute mentale e quindi il co-fondatore di Wikileaks può essere estradato. Adesso il caso tornerà alla corte di Westminster, dove un giudice distrettuale preparerà la comunicazione ufficiale del via libera giudiziario all’eventuale estradizione da mandare al ministero dell’Interno, che prenderà la decisione definitiva. Julian Assange è accusato di ben diciotto capi d’imputazione. Avrebbe rubato informazioni segrete relative alla Guerra in Afghanistan e Iraq dal database dell’esercito americano e le avrebbe poi rese pubbliche sul sito di Wikileaks. Secondo il governo americano, la pubblicazione dei documenti ha esposto il personale militare a un rischio enorme; secondo Assange invece, i documenti hanno mostrato gli abusi perpetrati dal governo americano. L’odissea giudiziaria del fondatore di Wikileaks è iniziata nel 2010 ma ha avuto un risvolto inaspettato nel 2012, quando si è rifugiato presso l’ambasciata ecuadoriana a Londra, dove è rimasto confinato per sette anni. Nel 2019 è stato poi arrestato in mondovisione per aver infranto, sette anni prima, le condizioni per la cauzione ed essere di fatto «scappato» dalla giurisdizione britannica. Nonostante abbia già scontato i 50 mesi di prigione per questa accusa, rimane detenuto a causa del pericolo che scappi nuovamente. La fidanzata di Assange, Stella Moris ha definito la sentenza di oggi un pericoloso precedente. In un accorato appello fuori dal tribunale ha dichiarato: «Negli ultimi due anni e mezzo Julian è rimasto nella prigione di Belmarsh. È dal 7 dicembre del 2010 che è detenuto in un modo o nell’altro. Sono undici anni. Per quanto tempo può andare avanti così?». Il direttore di Wikileaks, Kristinn Hrafnsson, ha dichiarato in un comunicato: «La vita di Julian è, ancora una volta, in grave pericolo e con lui anche il diritto dei giornalisti di pubblicare materiale che i governi o le corporazioni considerano sconveniente. Questa storia riguarda il diritto a un giornalismo libero, senza il timore di essere minacciati o bullizzati dai superpotenti». Amnesty International ha descritto la sentenza «una farsa della giustizia» e le rassicurazioni americane «decisamente blande». Nils Muiznieks, ex Commissario per i diritti umani presso il Consiglio d’Europa, ha affermato che «la sentenza pone una grave minaccia alla libertà della Stampa sia negli Stati Uniti che all’estero».