Così parlò Paolo Borsellino. «E’ inutile che io venga accompagnato la mattina con gran strombazzamento di sirene e spiegamento di auto di scorta, se poi il pomeriggio devo tornare in procura con la mia auto perché c’è solo un agente di scorta». A quel punto una voce si alza dai banchi dei parlamentari, una voce indefinita che dice: «Beh, almeno in questo modo riacquista un po’ di libertà». Replica gelida di Borsellino: «Dice che riacquisto in libertà? Sì, la libertà di essere ammazzato la sera...».

È l’ 8 maggio del 1984 quando Paolo Borsellino pronuncia queste parole di fronte alla Commissione parlamentare antimafia. Mancano otto anni e un mese al 19 luglio del ‘ 92. Il giorno della strage, il giorno di via d’Amelio. Mancano otto anni, è vero, ma il conto alla rovescia è già iniziato e lui, il giudice Borsellino, lo sa.

La desecretazione. Fa un certo effetto ascoltare la voce di Borsellino a distanza di tanto tempo. Una voce che riemerge dai cassetti della Commissione Antimafia guidata da Nicola Morra che ieri ha ufficialmente desecretato le audizioni del magistrato palermitano.

E sono audio drammatici e grotteschi a un tempo. E sì perché insieme all’emozione di riascoltare la voce dell’uomo che ha combattuto contro Cosa nostra fino alla morte - quella dei Riina, dei Provenzano, dei Brusca - c’è anche la curiosità di vedere questo gigante della lotta alla mafia alle prese con dattilografi che il pomeriggio spariscono e computer che non funzionano.

«Ormai - spiega infatti Borsellino - l’uso di attrezzature moderne è diventato indispensabile. Il computer è finalmente arrivato ma purtroppo sarà operativo solo tra qualche tempo perché, a quanto pare, i problemi di installazione sono gravi».

E così il computer, quell’unico computer a disposizione dell’intera procura di Palermo, finisce dentro uno stanzino. «Eppure spiega ancora borsellino ai parlamentari presenti in Antimafia quel computer è necessario, indispensabile per gestire l’enorme mole di dati dei processi. Perché ormai non è più possibile gestire quei dati con le rubrichette artigianali come si faceva un tempo». E così, conclude Borsellino, «siamo costretti a lavorare dalle sedici alle diciotto ore al giorno».

La denuncia di Borsellino. Passano due anni, siamo al dicembre del 1986, e Borsellino è di nuovo lì in Antimafia. Stavolta è nelle vesti di procuratore capo di Marsala e parla senza mezzi termini di «procura in via di smobilitazione». Attacca anche il Csm che non manda magistrati, non manda rinforzi. «A Marsala non c’era un volante - spiega -, non c’era una sola auto della polizia che potesse controllare il territorio e così dissi: “dimezzatemi la scorta”. Solo in questo modo risolvemmo il problema».

Eppure, spiega il pm antimafia, Marsala è una trincea. Anzi, “un santuario”: «Ci sono 10 contrade e non c’era una volante né della polizia né dei carabinieri. E siccome io mi ricordavo di una frase di Buscetta che disse che gli era stato presentato il boss di Bagheria mentre lui passeggiava a via Ruggero Settimo, a Marsala, allora io gli chiesi: “Ma come faceva a passeggiare di giorno in pieno centro se lei era latitante?”. “E no signor giudice - rispose lui - nel nostro ambiente si sapeva che la smonta di polizia e carabinieri avviene tra le 14 e le 16 e che a quell’ora volanti non ne circolano”».

«Ecco perché - spiega con un moto di rabbia Borsellino qui a Marsala si sentono in una libertà di movimento che supera i limiti di ogni possibile immaginazione» Passano altri due anni, siamo al 3 novembre del 1988, Borsellino è audito ancora una volta in Commissione. Pochi mesi prima il Csm aveva negato a Giovanni Falcone il ruolo di capo dell’ufficio istruzione del Tribunale di Palermo. Palazzo dei Marescialli gli preferì Antonino Meli.

Il pool creato da Antonino Caponnetto, quello del maxiprocesso, quello che per la prima volta aveva messo all’angolo i più importanti e sanguinari boss di Cosa nostra, aveva i giorni contati. Nel verbale della seduta il Csm spiegò che sì, Falcone ha «innegabili e particolarissimi meriti acquisiti nella gestione razionale, intelligente ed efficace, animata da una visione culturale profonda del fenomeno criminale e da un coraggio e un'abnegazione a livelli elevatissimi».

Fine della speranza. «E tuttavia - sottolineano consiglieri del Csm che dissero no a Falcone- queste notazioni non possono essere invocate per determinare uno scavalco di sedici anni circa di anzianità». Paolo Borsellino è deluso, arrabbiato. Sa bene che la bocciatura del suo amico e collega non passerà senza conseguenze. Sarà ascoltato altre volte davanti dalla Commissione antimafia. Poi arrivò quel 19 luglio del’ 92, arrivò via d’Amelio e quella morte da lui stesso annunciata otto anni prima.