Con ciclica ricorrenza ogni anno si riapre l’annosa discussione sulla difficoltà a commercializzare gli immobili di provenienza donativa, che secondo alcuni professionisti del settore immobiliare non sarebbero “bancabili” per le incognite rappresentate dalla possibile azione di restituzione da parte degli eredi legittimari che si ritengano lesi nel loro interesse; azione, quest’ultima, che può essere mossa entro tempi prescrizionali molto lunghi ( anche 20 anni dal momento della donazione). Nella pratica, tuttavia, la questione risulterebbe superata dalle nuove prassi del mercato assicurativo che hanno spalancato le porte del credito ipotecario anche nel caso in cui oggetto di compravendita sia un asset di provenienza donativa.

Per fare chiarezza sul tema, che - visto il considerevole utilizzo della donazione da parte delle famiglie italiane - ha un importante rilievo sociale, abbiamo deciso di interpellare alcuni esperti, cominciando dall’avvocato Alberto Saiu, consigliere di amministrazione di One Underwriting.

Quanto pesano, a livello numerico, gli immobili di provenienza donativa all’interno stock immobiliare italiano?

I dati sono pubblici e molto chiari. Come testimoniano le pubblicazioni dell’Osservatorio del Mercato Immobiliare ( OMI), lo stock immobiliare italiano, prendendo come riferimento le categorie catastali più frequentemente oggetto di compravendite tra privati ( categoria A - alloggi e uffici privati e Categoria C - attività commerciali o artigianali che appartengono a privati) è pari a circa 64 milioni di unità. Anche per quanto riguarda il numero di donazioni possiamo disporre di dati ufficiali: ogni anno il Consiglio Nazionale del Notariato pubblica uno studio dal quale si evince che in Italia vengono stipulati mediamente 134.000 atti di donazione di immobili all’anno. Mettendo a sistema questo dato con i termini di legge necessari al “consolidamento” della donazione ( 20 anni dall’atto di donazione e/ o 10 dalla morte del donante) e con l’aspettativa di vita residua calcolata sull’età media dei donanti, possiamo stimare, con buona approssimazione, che mediamente una donazione si consolida in 21 anni.

Moltiplicando questo lasso temporale per il numero medio di donazioni/ anno possiamo concludere che attualmente 2,8 milioni di immobili, presenti sul territorio nazionale, provengono da donazione. Rapportando questo dato al numero totale di immobili presenti in Italia, possiamo affermare che circa il 4,5% degli immobili ad uso abitativo ha una provenienza donativa ( 2,8 milioni su 63 milioni).

Pertanto, ipotizzando che gli immobili di provenienza donativa siano bancabili, questi dati dovrebbero riflettersi anche sul numero di operazioni di compravendita finalizzate.

Esattamente, i dati dell’OMI mostrano che, ogni anno, vengono compravenduti circa 563.000 immobili di cui circa 25.350 riguardanti di immobili di provenienza donativa ( vale a dire il 4,5% di 563.000). In base a questa stima, possiamo finalmente disporre di dati incontrovertibili che ci aiutino a capire se gli immobili di provenienza donativa siano effettivamente liberi di circolare sul mercato o se persistano degli ostacoli reali. Il primo elemento di valutazione ci può essere fornita dal numero delle assicurazioni a supporto delle operazioni immobiliari stipulate annualmente per tutelare gli acquirenti degli asset provenienti da donazione.

L’istituto assicurativo si è pienamente affermato nel mercato italiano ed è cresciuto a livello esponenziale fino a superare le 22.000 pratiche nel 2021, con un costo medio di circa 850 euro in un un’unica soluzione senza ulteriori rate, fino alla prescrizione dei diritti dei legittimari. Considerando che ogni pratica copre almeno un immobile, è facile evincere la corrispondenza quasi matematica tra il numero di polizze sottoscritte e il numero degli immobili di origine donativa che in teoria dovrebbero essere compravenduti annualmente. Procedendo a incrociare le circa 25.000 compravendite di immobili donati che idealmente si dovrebbero realizzare su base annua, con le 22.000 assicurazioni stipulate nel 2021, si comprendere come la soluzione assicurativa garantisca quasi il 90% delle operazioni di compravendita che si dovrebbero realizzare ogni anno in Italia. Queste considerazioni ci dimostrano come il consolidamento della soluzione assicurativa, agile ed economica, sia stato determinante per far sì che oggi, gli immobili di provenienza donativa, siano liberi di circolare sul mercato senza che si rendano necessari, a tale scopo, stravolgimenti del nostro diritto successorio.

Come funzionano le polizze assicurative Donazione?

Il principio cardine è chiaro: evitare, sfruttando quanto previsto dal comma 3 art 563 c. c., che l’acquirente di un immobile di provenienza donativa debba restituire il bene donato al legittimario pretermesso. Questo è possibile offrendo al legittimario, come previsto dal codice civile, una somma in denaro equivalente alla quota di legittima lesa. Il legittimario, infatti, vanta un diritto reale sull’asset donato, meccanismo che gli consente di agire anche nei confronti del terzo acquirente nel momento in cui il donatario/ venditore risulti incapiente. Per questa ragione, l’acquirente/ assicurato può liberarsi dall’onere di restituire l’immobile al legittimario corrispondendo a questi una somma in denaro. È in questa fase che interviene l’assicuratore il quale, corrispondendo al legittimario quanto di sua spettanza, libera il proprio assicurato dall’obbligo di restituire il bene.

Eliminando il rischio restituzione, la banca mutuante non perderà l’ipoteca sul bene e, pertanto, la provenienza donativa non rappresenterà più una condizione di non procedibilità rispetto alla concessione del mutuo.

Questo tipo di strumenti assicurativi, oltre ad essere offerti sul mercato a prezzi molto bassi ( 850€ da pagare una tantum per operazioni che riguardano immobili da 250.000€) hanno durata indeterminata: vale a dire che l’assicuratore garantirà l’acquirente del bene ( e tutti i successivi proprietari dello stesso) fino a che non si prescrivono i diritti di tutti i legittimari conosciuti, sconosciuti e sopravvenuti che potrebbero intentare un’azione di riduzione e restituzione.

Esistono altre soluzioni che consentano di rendere commerciabili i beni di provenienza donativa?

Partiamo da una premessa: i beni di provenienza donativa possono essere liberamente compravenduti sul mercato con o senza polizza. Non esiste alcuna norma che vieti o limiti il trasferimento di questo tipo di asset. L’impasse relativo alla loro commercializzazione può essere superato anche attraverso il ricorso a strumenti di scuola notarile come la risoluzione per mutuo dissenso ovvero offrendo ( per chi ne ha la possibilità) un asset immobiliare – diverso da quello che si sta acquistando a garanzia del mutuo ipotecario.

Posto che gli immobili di provenienza donativa circolano liberamente sul mercato, non si potrebbe pensare a ridisegnare la normativa in maniera da rendere il processo di compravendita ancora più semplice?

C’è da augurarsi che si operi in maniera seria e organica, evitando di nascondere emendamenti corsari all’interno dei decreti omnibus.

In un paio di occasioni, nel corso della passata legislatura, si è tentato di far passare emendamenti che oltre ad aprire le porte ai patti successori avrebbero di fatto declassato il diritto dei legittimari a mero diritto di credito.

È innegabile che l’attuale normativa sia molto tutelante nei confronti dei legittimari pretermessi: si tratta di una scelta culturale, prima ancora che politica. In Italia la ricchezza è tramandata di generazione in generazione attraverso il passaggio ( via testamento, successione o donazione) di beni immobiliari.

Mi permetto di fare un esempio su tutti: pochi giorni fa è stato liquidato un sinistro. Nello specifico una persona anziana aveva donato un immobile di pregio a un soggetto estraneo al proprio asse ereditario. Il donatario, dopo aver venduto il bene si era trasferito all’estero. I legittimari pretermessi, non riuscendo a soddisfare il proprio diritto di credito nei confronti del donatario hanno agito in restituzione nei confronti dell’acquirente.

L’assicuratore ha liquidato ( ex art 563.3) i legittimari. In questo modo, la proprietà del bene è rimasta in capo al nostro assicurato e la banca mutuante non ha perso l’ipoteca. Su alcune posizioni gli assicuratori sono esposti per centinaia di migliaia di euro. Difficilmente, senza il supporto assicurativo, il legittimario potrebbe avere soddisfazione nel recuperare queste somme.

Modificare la normativa, declassando il diritto reale in diritto di credito, non renderebbe più bancabili gli immobili donati, perché già lo sono ma, senza dubbio, indebolirebbe gravemente la posizione dei legittimari. Il combinato disposto tra diritto reale del legittimario e polizza a tutela dell’acquirente ha consentito a entrambi i soggetti coinvolti ( unitamente alla banca) di essere tutelati nei propri diritti.

Si evita che l’acquirente debba restituire il bene

IL PRINCIPIO CARDINE È CHIARO: EVITARE, SFRUTTANDO QUANTO PREVISTO DAL COMMA 3 ART 563 C. C., CHE L’ACQUIRENTE DI UN IMMOBILE DI PROVENIENZA DONATIVA DEBBA RESTITUIRLO AL LEGITTIMARIO PRETERMESSO, OFFRENDO, COME PREVISTO DAL CODICE CIVILE, UNA SOMMA IN DENARO EQUIVALENTE ALLA QUOTA DI LEGITTIMA LESA. IL LEGITTIMARIO, INFATTI, VANTA UN DIRITTO REALE SULL’ASSET DONATO