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Alberto Liguori nuovo procuratore di Civitavecchia
In linea con il 2024, il “bollettino di guerra” del primo trimestre 2025 sulla violenza contro le donne ha fatto registrare una vera e propria mattanza (17 donne uccise), assumendo dimensioni drammatiche ed emergenziali come ha avuto modo di affermare nel novembre dello scorso anno il ministro dell’Interno Piantedosi. Il Legislatore ha reagito rafforzando gli strumenti di contrasto alla violenza contro le donne con l’adozione di misure di tutela della vittima per sterilizzare al massimo le occasioni di contatto tra la vittima e l’indagato. La strategia ha un comune denominatore: la tempestività dell’intervento attraverso l’esame della vittima nei tre giorni successivi all’iscrizione della notizia di reato e con la successiva valutazione del quadro cautelare nei 30 giorni dalla medesima iscrizione con opzione, nei casi più gravi, di misure cautelari personali o coercitive sulla base delle informazioni richieste all’organo di polizia giudiziaria procedente.
Eppure, nonostante la potenza di fuoco normativa e investigativa messa in campo, i numeri ci dicono che qualcosa non ha funzionato. Anche quando vengono applicate misure cautelari più stringenti, quali l’allontanamento dalla casa familiare o e il divieto di avvicinamento in luoghi frequentati dalla persona offesa dell’autore del reato con l’aggiunta del c. d. braccialetto elettronico, la finalità di prevenzione pare frustata. E, allora, serve anche altro tipo di intervento mirato, questa volta, sull’autore del reato per ricostruire il contesto di appartenenza e agire in termini preventivi perchè la violenza è il risultato di un’interazione complessa di fattori biologici, psicologici, familiari e sociali. È tempo che scenda in campo anche l’esperto psicologo sin dalle prime battute delle indagini per la raccolta delle dichiarazioni rese dalla vittima: in ausilio alla p. g., nella fase dedicata all’ascolto della vittima di reato, deve essere presente l’esperto psicologo la cui professionalità sarò utile anche per la compilazione della scheda sul rischio di escalation criminale (protocollo SARA) che deve essere consegnata al Pm per agevolare la sua prognosi sulla necessità di cautelare o meno il reo. La previsione consentirebbe, altresì, all’esperto di pronunciarsi sulla necessità di un percorso trattamentale con la previsione di programmi di prevenzione della violenza.
Per la verità, il nostro Legislatore, anche perché sollecitato da organismi europei, ha previsto percorsi di trattamento per gli autori di reato ma, a sommesso avviso di chi scrive, in una fase avanzata delle indagini preliminari e in un’ottica premiante e non di prevenzione vera e propria. Infatti, la sottoposizione a un programma di prevenzione della violenza dell’autore è facoltativa, essendo a questi rimessa la scelta di beneficiare di regimi cautelari meno afflittivi se non per ottenere la sospensione condizionale della pena. Quel che invece servirebbe, tenendo conto che è in gioco il bene della vita, è una scelta di campo innanzitutto culturale che precede quella normativa. Gli interventi premianti e convenienti per il reo – sottoponiti ad un programma di prevenzione della violenza presso i Centri per uomini autori di violenza (C. U. A. V) e ti scarcero o non ti faccio entrare in carcere - devono essere affiancati da strumenti di autentica prevenzione convenienti per tutti, reo, vittima e intera collettività, con la presa in carico dell’autore di violenza da parte dei C. U. A. V. entro il perimetro temporale assegnato al pubblico ministero dei 30 giorni dall’iscrizione della notizia di reato per decidere sulla libertà del reo.
Lo sforzo culturale è quello di coniugare sicurezza, libertà e salute con il ricorso a prescrizioni a corredo delle misure cautelari adottate convenienti sia per il reo sia per la vittima del reato, quali l’obbligo della frequentazione del corso di recupero per affrontarefunditus le ragioni di amori malati e/ o tossici portati avanti di solito da persone tossicodipendenti o etilisti che, purtroppo, con elevata frequenza sfociano in femminicidi. L’autore di maltrattamenti, stalking, lesioni e di femminicidi è, prima ancora che un delinquente, un paziente affetto da disturbi della personalità. Prevenire significa soprattutto indagare sulle ragioni del malessere per evitare o ridurre escalation criminali. La letteratura criminale insegna che non bastano 500 metri di distanza per impedire e prevenire il femminicidio. Serve, invece, che allorquando il giudice si determina per l’applicazione di una misura cautelare personale o coercitiva per il reo, nella parte dedicata alle prescrizioni, accanto all’implementazione del braccialetto elettronico, preveda anche la frequentazione di un programma di prevenzione della violenza presso uno dei Centri regionali di ascolto uomini maltrattanti e, come accade per il braccialetto elettronico, in caso di rifiuto di sottoposizione far scattare automaticamente l’applicazione di una misura più grave. Basterebbe intervenire sull’attuale assetto normativo delle misure coercitive più diffuse dell’allontanamento dalla casa familiare (art. 282 bis c. p. p.) e del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa (art. 282 ter c. p. p.).
Insomma, portando a regime l’attuale sistema processuale potremmo incidere in maniera efficace mettendo in sicurezza la vittima e il reo, al quale comunque deve essere garantito anche il diritto alle cure, alzando l’asticella e anticipando alla fase che precede l’adozione della misura cautelare il momento della diagnosi e della terapia.
*PROCURATORE DI CIVITAVECCHIA ED EX COMPONENTE CSM