Il velo qui è un diritto e insieme una responsabilità per chi sceglie in questo momento storico di indossarlo. Non può essere il presupposto di un divieto senza comprimere la nostra libertà. Il significato di subalternità, che quel simbolo esprime, non può prevalere sul diritto individuale di riconoscersi e di esprimersi nello spazio pubblico, dove l’unico limite che il velo incontra è il travisamento della propria identità per motivi di sicurezza.

Né si può sostenere che, poiché il velo è l’emblema di una condizione di subalternità e di nascondimento del femminile imposto nelle società islamiche, l’Occidente, che a questa subalternità si oppone, non dovrebbe tollerare che fosse indossato. Perché la promozione della libertà non può coincidere con una limitazione di libertà, per la quale la scelta di indossare il velo, o piuttosto il crocefisso, o piuttosto l’orecchino e qualunque altro oggetto o simbolo non possono avere un significato pubblico che s’impone su quello che ciascuno individualmente gli attribuisce.

Né, ancora, si può invocare un’inopportunità rispetto alla funzione di giudice assolta dal portatore del velo, sul presupposto che, trattandosi di un simbolo di una religione che s’impone come legge alla vita collettiva, l’esibizione dello stesso deponga per un pregiudizio del giudicare. La garanzia dell’imparzialità dipende dalla soggezione del giudice alla legge, cioè dalla sua adesione allo spirito di questa e ai principi dell’ordinamento, non da una sua pretesa neutralità personale. La quale sottende invece una tentazione di sterilizzare il potere, attraverso la negazione di tutte le componenti valoriali che, disponendosi

dialetticamente nello spazio pubblico, fondano la laicità. Il rischio di questa prospettiva è una cancellazione culturale che apre la strada a una deriva tecnocratica e nichilista della democrazia. La quale non è una scatola vuota, fondata su presupposti che essa stessa non è in grado di giustificare – secondo il noto paradosso di Bockenforde – ma una stratificazione di culture che tendono a libertà, giustizia e solidarietà, in un continuo bilanciamento e confronto.

In questa laicità, dove ogni cittadino si manifesta con le sue diversità culturali e nella sua libertà, anche alla fede va riconosciuta agibilità di esprimersi. Che poi sia opportuno indossare un simbolo di fede, che altrove quella stessa libertà nega, in un momento storico in cui in nome delle leggi religiose vengono compiute discriminazioni feroci e attentati alla vita, è valutazione che spetta alla libertà individuale. Assieme alla coscienza di muoversi in uno spazio e in un tempo globale, dove ciascun gesto, anche solo simbolico, può impattare con il destino di milioni di persone, tanto lontane eppure tanto vicine a noi.