A cambiare tutto fu una telefonata in diretta tv. È il 6 maggio 1988: nel corso della trasmissione d’inchiesta Telefono Giallo il conduttore Corrado Augias manda in onda la testimonianza di una persona che si presenta come «aviere in servizio a Marsala» la sera della strage e che ha «elementi molto pesanti» da rivelare.

In studio l’allora ministro dell’Interno Giuliano Amato. L’uomo afferma di aver visto perfettamente i tracciati (dei missili) di cui si stava discutendo in studio ma i suoi superiori gli hanno ordinato di tacere: «Il maresciallo responsabile ci disse di farci gli affari nostri e di non dare seguito alla questione». La testimonianza, rilasciata «per un tormento emotivo interiore» sembra molto credibile, almeno per i nostri organi di informazione anche se l’identità dell’ascoltatore rimarrà segreta: «Non voglio rogne» spiega prima di riattaccare la cornetta nel disappunto generale.

È la prima volta in assoluto che un mistero di Stato irrompe in diretta televisiva, entrando nelle case degli italiani con un colpo di scena degno di una spy story d’oltreoceano, è la consacrazione della “tv verità” teorizzata e realizzata dal direttore di Rai3 Massimo Guglielmi (sono gli anni in cui nascono trasmissioni cult, ancora oggi nei palinsesti come Un giorno in pretura e Chi l’ha visto) ma soprattutto di un nuovo modo di fare giornalismo, senza dubbio più diretto e popolare, ma anche più esposto al sensazionalismo e alle scorciatoie giustizialiste: «È l’unica volta in novanta puntate di Telefono giallo in cui mi sono veramente emozionato» commenta Augias a distanza di qualche anno, cosciente di aver scritto una pagina memorabile della nostra televisione senza però dare l’impressione di misurarne gli effetti.

Nella pubblicistica ufficiale e nell’immaginario collettivo Ustica diventa la “madre di tutti i misteri” un romanzo nero che appassiona e spaventa gli italiani, un intreccio pazzesco di trame internazionali, di cospirazioni e depistaggi, un ordito fitto di bugie e di verità che affondano nella solita palude italica. Con l’irresistibile tentazione di unire i puntini di quella tragedia agli altri misteri della nostra storia recente in un confuso patchwork complottista: il rapimento Moro, la strage di Bologna e quella di Piazza Fontana, Gladio, la Cia, il Kgb.

È l’idea permanente dello “Stato parallelo”, una presenza occulta che attraverso gli immancabili “servizi deviati” sarebbe dietro ogni mistero nazionale, dal terrorismo alle stragi. Una notte della repubblica in cui tutte le vacche sono grigie nonché una morbosa telenovela alimentata in parte dallo scandalismo un po’ mitomane dei media, in parte dall’effettiva opacità degli apparati dello Stato perché ogni teoria del complotto di successo prende sempre le mosse da elementi verità o comunque plausibili.

Le inchieste giudiziarie hanno stabilito con certezza che nella vicenda di Ustica ci furono insabbiamenti, depistaggi e azioni di favoreggiamento ma i quattro ufficiali accusati di alto tradimento per aver omesso o trasmesso documentazioni false all’autorità giudiziaria sono stati assolti perché «il fatto non sussiste». Nel processo civile invece i ministeri della Difesa e dei Trasporti sono stati condannati a risarcire oltre 100 milioni di euro ai 42 familiari delle vittime per non aver saputo prevenire e garantire la sicurezza del velivolo con i radar civili e militari.

La telefonata che fece la fortuna di Corrado Augias e della sua trasmissione venne presentata come un fondamentale punto di “svolta” dell’inchiesta, ma la svolta avvenne solo nel linguaggio televisivo e nel rapporto tra media, giustizia e opinione pubblica. Fu una rottura culturale, non una prorompente verità giudiziaria come certa mitologia ancora oggi lascia credere. Dal punto di vista sostanziale le conclusione a cui sono giunti i giudici non avevano alcuna relazione con la telefonata del 6 maggio 1988. Anche perché stiamo parlando di una voce anonima che nessuno tra gli addetti alla sala radar di Marsala ha riconosciuto o ha saputo farlo quando la settimana successiva la procura di Marsala ascoltò ufficiali, sotto-ufficiali e avieri in servizio la sera della strage. Né il misterioso individuo apparentemente tormentato dai rimorsi si è mai più fatto vivo nel corso degli anni per denunciare quei fatti.

Fu lo stesso Rosario Priore, titolare dell’inchiesta, a escludere l’attendibilità della notitia criminis comunicata dall’ignoto ex aviere ridimensionando la sua importanza: «L’indagine preliminare non ha consentito di verificare la fondatezza della notizia medesima, non riscontrata in alcuna delle deposizioni rese da parte di militari addetti alla sala operativa del radar di Marsala. Dagli esami testimoniali non si acclaravano elementi tali per consentire l’identificazione del sedicente aviere».