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Il giornalista Alessandro Barbano
Caro Alessandro Barbano,
Come sai gli atti che appartengono alla fase delle indagini non sono di regola pubblicabili, anche oltre la chiusura della fase delle indagini preliminari. Non lo sono per più ragioni, che vanno dalla tutela degli esiti delle investigazioni, alla tutela della verginità cognitiva del futuro giudice del dibattimento, che quegli atti di indagine non potrà e non dovrà conoscere. Si tratta di un sistema introdotto dal legislatore del codice accusatorio dell’88, che è sicuramente un codice di impronta democratica e non autoritario.
Il necessario equilibrio fra l’esigenza di un controllo democratico dell’attività giudiziaria svolto attraverso l’informazione e quello relativo alla difesa di quel fondamentale valore di matrice costituzionale e convenzionale costituito dalla presunzione di innocenza di ogni indagato, non viene alterato affatto dalla riforma in quanto “non pubblicabile” non significa non conoscibile e dunque nulla viene sottratto al sindacato dell’informazione.
Tutti i contenuti probatori riprodotti nell’ordinanza di custodia cautelare restano fruibili attraverso la sintesi giornalistica, libera di apprezzare il valore e il disvalore delle sue motivazioni e di informare il pubblico del significato di un’iniziativa giudiziaria. Il controllo dell’informazione in ambito giudiziario dovrebbe essere peraltro decisivo ai fini di un efficace e proficuo controllo del potere giudiziario, ma il fatto è che, a ben vedere, di un’ordinanza cautelare non si va mai a verificare la effettiva validità dell’indizio o la mancata valutazione di elementi di prova a favore dell’indagato (lo hai mai visto fare?), ma si provvede solo a enfatizzare il virgolettato dei passaggi delle intercettazioni più di effetto o magari il passaggio nel quale il giudice stigmatizza l’amoralità o il cinismo del presunto autore del reato.
Condivido interamente le critiche che tu fai alle degenerazioni del nostro sistema processuale ed alle distorsioni determinate da strumenti investigativi invasivi e pervasivi come il trojan. Non vi è dubbio che questo sistema processuale con le sue distorsioni sistemiche determini sviluppi parossistici anche nel mondo dell’informazione, ma sarebbe a mio avviso un errore non cogliere invece il reciproco incremento che un certo modo di intendere la giustizia penale, ed il corrispettivo modo, subalterno alle Procure, di intendere l’informazione giudiziaria, forniscono al nostro attuale scomposto sistema. Quando tu stesso dici “non mi nascondo che nella prassi degli ultimi decenni il controllo popolare sul processo è stato declinato dalla stampa nella gogna”, apri la finestra sul problema centrale, senza tuttavia offrire una alternativa plausibile, perché certo non basta che il giudice si limiti ad inserire nell’ordinanza cautelare “solo elementi di prova pertinenti con l’imputazione”, perché si tratterebbe di un vincolo assai debole ed in alcun modo sanzionabile, se non altro a causa della vaghezza del principio di pertinenza. Ma anche di fronte ad una prova, allo stato degli atti, “pertinente” non vi è motivo di ritenere che la stessa debba essere diffusa al pubblico perché si tratta comunque di un dato provvisorio e il più delle volte falsificabile, che non può marchiare l’immagine di nessun presunto innocente.
Insomma, gli approdi cautelari sono necessariamente parziali, fluidi e provvisori, produttivi di contenuti inevitabilmente fallaci, il cui utilizzo mediatico innesca fenomeni potenzialmente distruttivi nei confronti della persona e dell’immagine dell’indagato, per non dire di altri soggetti estranei alle incolpazioni eventualmente coinvolti nell’indagine, la cui dignità va protetta in ogni modo e di fronte al cui valore altri interessi devono inevitabilmente assestarsi.
E non dimentichiamo che è il pubblico ad avere diritto ad una informazione corretta e completa e che questo diritto non si soddisfa fornendo una qualsiasi informazione (tale certo non può dirsi quella della gogna che tu stesso denunci) sottratta ad ogni regola e ad ogni misura. Credo che sia questo il modo più corretto di intendere l’art. 21 della Costituzione.