PHOTO
Di questi tempi la giustizia penale non gode di buona salute nel marasma interno e sotto una legislazione nostalgica delle grida manzoniane, per non richiamare in modo “politicamente scorretto” regimi meno risalenti. Tuttavia non credevo che il pessimismo per nulla gratuito che attanaglia la società potesse far immaginare un processo celebrato facendo strame dei diritti inviolabili della persona. E invece è accaduto. Ecco il caso.
C’è un indagato per un preteso falso in una Voluntary Disclosure. Per prima cosa sono disposte intercettazioni telefoniche e ambientali fra lui e i suoi avvocati. Uno di questi (E.) è convocato dal magistrato come persona informata dei fatti. La mattina della convocazione telefona intercettato a colleghi di studio. L’ignara meraviglia di tutti si risolve nella ferma decisione che, se si tratterà di fatti riguardanti un mandato difensivo, sarà opposto il segreto professionale. La telefonata è ascoltata dal colonnello che nel pomeriggio parteciperà alle Sit. Gli inquirenti dunque sanno di quella decisione. Ciononostante in esordio l’avvocato è avvertito dell’obbligo di rispondere secondo verità, salvo incorrere nel reato ex art. 371-bis c.p.
Gli si chiede della sua attività (la risposta: «Sono praticante la professione forense in procinto di fare l’esame di avvocato»); di come ha conosciuto la persona indagata (la risposta: «Con il dominus ho seguito la sua Voluntary Disclosure»). Alle Sit, durate tre ore e mezza, partecipano, oltre al magistrato, quattro inquirenti. Uscito dalla caserma, in auto l’avvocato telefona, intercettato, alla collega e ai genitori.
Questi i passaggi più significativi, del tutto attendibili perché captati di nascosto: «E. Ciao. F. tutto bene? E. Ciao. (piange) F. Che succede? E. (continua a piangere) F. Vuoi che ti vengo a prendere? E. (continua a piangere) Erano in cinque! C’era il … il colonnello, il pubblico ministero (singhiozza). Mi sono sentito morire. Tre ore e mezza! Come se avessi…fossi un delinquente! (piange disperato) E. Eh mi sono fermato un attimo perché non vedevo (sembra dire) la strada. F. Vuoi che ti vengo a prendere? E. No. F. Veniamo io e Andrea. E. No, dovrei farcela. (piange) Come faccio che… non ce la faccio! (continua a piangere). M’ha rovinato la vita. F. No. E. Ma il pubblico ministero che mi commenta: “Si sta approcciando con disinvoltura alla professione legale”. Ma che vergogna! (singhiozza) F. Tu adesso stai tranquillo. E. (sempre con la voce rotta dal pianto) Non ho fatto nulla! F. Ah, allora! Ma erano cinque contro uno! Mi hanno fatto sentire un delinquente con il comandante…gliel’ho detto: “Mi sta… mi sta inducendo a rispondere cose che non ho detto, che non sto pensando! Mi sta inducendo a rispondere cose che… che vuole che scriva… vuole scriverle lei!” (scoppia nuovamente a piangere). E. Mi sono messo a piangere anche davanti a loro perché… E. Ma lo capisci che vergogna? Se mi dovessero notificare un avviso di garanzia non mi vado neanche a iscrivere all’Albo. F. Ma figurati! E. E quello mi fa: “Per ora, perché…” Mi fa: “Per ora. Ancora non sei… perché ancora sei testimone”. Ah! Eh ancora.». Telefonata col padre: «E. Mi han fatto spegnere il telefono davanti a loro per evitare che potessi registrare ma ci mancherebbe gli ho detto ma comandante lo spenga lei se vuole avere contezza del…».
È dunque palese la violazione dell’art. 188 c.p.p. che vieta metodi lesivi della libertà di autodeterminazione della persona. Abbiamo sottoposto gli audio e le trascrizioni delle intercettazioni a due esperti di neuroscienze cognitive e psichiatria, i proff. Pietro Pietrini dell’Università di Lucca e Giuseppe Sartori di quella di Padova. Ecco il responso: «I risultati delle analisi effettuate, anche con tecniche automatizzate di Intelligenza Artificiale, dimostrano come la situazione vissuta abbia creato nel soggetto una condizione di turbamento psichico e alterazione emotivo-affettiva compromettendo la sua libertà di autodeterminazione». Il che, oltre a integrare il reato di concussione o violenza privata, è causa di inutilizzabilità delle Sit.
Nel giudizio a carico del cliente l’avv. E. è stato sentito come teste d’accusa e le sue dichiarazioni al p.m. sono state acquisite perché aveva con esse già rinunciato al segreto professionale. Ma egli dichiara: «Non ero stato messo nelle condizioni… diciamo che il clima in quelle Sit non è stato dei più favorevoli per me e la prima cosa che mi è stata rappresentata è che forse…»; il Tribunale lo interrompe sul rilievo inaudito: «Sono questioni che esulano dall’oggetto del processo».
Questa linea è seguita pure con riguardo alle intercettazioni degli avvocati, vietate dagli artt. 103 c. 5 e 271 c.p.p. Ci si è trincerati, con fine immaginazione interpretativa, dietro la clausola di salvezza che l’avvocato ha deposto sugli stessi fatti? Ecco il gatto (con gli stivali) che si mangia la coda: dichiarazioni inutilizzabili per patologia processuale (art. 191 c.p.p.) non possono reggere l’escamotage. Le persone e la società devono vivere nelle intemperie di una giustizia che non esce dal «buco nero» in cui da anni si è annidata e da lì, in un tetro lucore, giudica contro libertà inviolabili dei singoli.
Leggere le trascrizioni è sconcertante. Ascoltare l’audio è angosciante (l’avranno fatto i giudici?). Sembra ormai obliterata la massima di antica risalenza: «Nel processo è come nella caccia. Le regole valgono di più della preda». Sovvertendola, non se ne garantisce più il buon risultato, che sarà in un caso mera carneficina e nell’altro una sopraffazione.