Davvero la premier Meloni e il ministro della giustizia Nordio sono “preparati” alla morte di Alfredo Cospito? Davvero hanno fatto i conti con questa possibilità sempre più plausibile? E infine: davvero, Meloni e Nordio, pensano che il giorno dopo la sua morte - Dio non volesse - il governo potrà continuare il suo viaggio come se nulla fosse?

Insomma, dopo uno sciopero della fame che sta portando Cospito sull’orlo dell’irreversibilità, il governo ha il dovere di liberare la vicenda da ogni residuo ideologico, di fare un bagno di “cinismo” e realpolitik e affrontare la questione con lucidità, freddezza e visione politica. Del resto la capacità di “prevedere il futuro” e di immaginare le conseguenze che ogni singola scelta può avere nel breve e nel lungo periodo, è una delle qualità indispensabili del politico di talento. E in questo caso non è difficile intuire che la vicenda Cospito, per come si sta mettendo, non lasci intravedere nulla di buono. Né per lui, naturalmente, né per il governo.

Qui non è più neanche - o non solo - questione di umanità. A questo punto la questione Cospito è tutta politica: il governo ha infatti assoluta necessità di trovare una via d’uscita dal cul de sac nel quale si è ficcato. Meloni è una premier lucida che spesso si ritrova a dover gestire una truppa sgangherata di fedelissimi sempre più simili - stavolta l’ha detta bene Giuseppe Conte - a una classe di liceali in gita.

Costretta a correggere sgrammaticature istituzionali e a distrarsi dai dossier più importanti, la premier ha infatti la necessità di liberarsi al più presto dal caso Cospito “caldeggiando”, per esempio, la revoca del 41bis. E qui è sempre bene ricordare e chiarire che l’anarchico non sarà scarcerato ma, eventualmente, trasferito nell’alta sicurezza, un regime appena meno duro del 41bis. Soluzione peraltro “avanzata” dal procuratore nazionale antimafia in persona.

Oppure Meloni può decidere di seguire un’altra strada: giocare d’azzardo e puntare sul fatto che Cospito non arriverà alle estreme conseguenze. Ma in quel caso - per una strana ma non inusuale eterogenesi dei fini - avrà consegnato il futuro del suo governo nelle mani di un anarchico novecentesco che si è lanciato contro “il potere costituito”. E questa, a occhio e croce, non è una grande idea. Insomma, Meloni è ancora in tempo per trasformare un’ anacronistica linea della fermezza (anche questa tutta novecentesca) in una ragionevole “trattativa” che salvi la pelle a Cospito e (perché no) anche al suo governo.