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Per l’Italia, da nove trimestri a questa parte, le valutazioni previsionali sull’economia sono state costantemente sbagliate per difetto. La sottovalutazione del ruolo del turismo e dei servizi connessi è alla base del suddetto errore sistematico. In altre parole, gli strumenti tecnici che servono per la formulazione di scenari prospettici non incorporano adeguatamente la spinta che il settore ha dato di recente all’economia italiana. Bisognerà tenerne conto.
Intanto, dopo l’ondata di revisioni al rialzo che ha seguito la pubblicazione delle stime preliminari del Pil per il primo quarto dell’anno in corso - molto migliori delle attese - si è generata un po’ di confusione sull’interpretazione del quadro macroeconomico. La visione che dell’Italia hanno i principali previsori nazionali e internazionali non è mutata. Ed è complessivamente poco lusinghiera. Il fatto che il pre- consuntivo del Pil italiano per il 2023 sia stato rivisto mediamente di due- tre decimi al rialzo, da 0,8- 0,9% a 1,1- 1,2%, incorpora semplicemente la maggiore crescita “realizzata” nel primo trimestre, che fino a ieri era oggetto di previsione e oggi è storia ( visto che c’è, appunto, la stima ufficiale dell’Istat). Ma ugualmente, per conseguire i nuovi risultati, il profilo trimestrale resta stentato e fatto di variazioni congiunturali tra lo 0,1% e lo 0,2% per trimestre. Niente di che essere soddisfatti. Anzi, questo possibile futuro prossimo disegna ciò che tutti - politici, istituzioni, imprenditori e cittadini - vorremmo non accadesse: tornare ai tassi dello zero- virgola- niente del ventennio pre- pandemia.
Di più. C’è il rischio che si debba fare marcia indietro, con una diffusa ondata di revisioni, questa volta al ribasso. Perché le criticità che investono alcune grandi economie europee, le difficoltà nel riportare l’inflazione su valori più prossimi agli obiettivi di politica monetaria, diversi segni di rallentamento nella spesa per consumi, qualche dubbio sulla dimensione del boom turistico e i soliti ritardi nell’attuazione del Pnrr fanno sorgere il sospetto che all’orizzonte si profilino nubi dense sulle reali possibilità della nostra economia di chiudere bene la fase post- pandemica.
Per quanto riguarda il Pnrr, il ministro Fitto, comprensibilmente, è un po’ infastidito quando legge di “ritardi”. Il problema è che i ritardi ai quali i previsori fanno riferimento non costituiscono un giudizio sull’operato del governo quanto una valutazione della distanza tra le risorse che si pensava sarebbero state investite e ciò che effettivamente è stato speso. Si può trattare quindi di un semplice errore dei previsori ma, comunque, esso richiede una revisione al ribasso a causa dell’effetto moltiplicativo degli investimenti ( non realizzati).
Sul versante della produzione industriale registriamo quattro variazioni negative consecutive mese su mese, tra le quali quella relativa ad aprile appare davvero grave. È in parte un riflesso del rallentamento mondiale. Certo, ci siamo rallegrati di avere superato, in termini di crescita, i cugini tedeschi - ma anche francesi e americani - ma non va trascurata l’interconnessione delle economie e il peso che ha la Germania per le nostre esportazioni ( 12,4%). E, a proposito di scambi commerciali, oggi va molto di moda discettare di de- globalizzazione, reshoring e friendshoring: ricordo che se abbiamo delocalizzato produzioni importanti non è accaduto per simpatia verso popoli diversi e distanti. È stato fatto perché conveniva: se si torna indietro su questo fronte è bene acquisire la consapevolezza che dovremo sostenere costi maggiori e quindi prezzi al consumo più elevati.
Esprimo qualche esitazione anche sul boom del turismo sul territorio italiano. Certamente si conferma, come dicevo in apertura, settore dall’impatto sottovalutato. Tuttavia, il pieno recupero rispetto ai livelli pre- pandemici è un risultato ancora da conseguire. Concordo con la titolare del dicastero del Turismo riguardo alla suggestione che probabilmente il 2023 segnerà il record di sempre in termini di presenze e di spesa. Ma sottolineo il “probabilmente”: perché, dopo la revisione che l’Istat ha apportato alle prime stime diffuse da Eurostat, emerge che nel periodo gennaio- aprile 2023 le presenze turistiche in Italia sono ancora del 2,1% sotto i livelli registrati nell’anno precedente la pandemia (- 1,3% gli stranieri, - 3% gli italiani).
E non può essere un caso che a maggio gli indicatori sul sentiment di famiglie e imprese mostrino qualche cedimento: l’aumento dei tassi d’interesse non giova, nel breve termine, né ai consumi né agli investimenti e l’inflazione rientra a ritmi meno intensi delle attese.
Tiene il mercato del lavoro, almeno per adesso. Sulle dinamiche occupazionali ne sapremo di più alla fine di giugno.
Non ci resta che sperare di arrivare alla nota di aggiornamento al Def di fine estate in condizioni macroeconomiche non deteriorate, in modo da trovare le risorse per confermare nel 2024 gli sgravi contributivi che stanno sostenendo il reddito disponibile dei lavoratori dipendenti, la cui capacità di spesa giova a tutto il sistema. Una prospettiva, ad
oggi, ancora molto incerta.* Direttore Ufficio Studi Confcommercio