Sono giorni che parliamo di un “emendamento ProVita”. Sono giorni – che sembrano anni – che leggiamo e ascoltiamo che ora l’aborto volontario sarà minacciato irrimediabilmente ed è un po’ difficile non chiedersi “ma quindi prima qui era tutta campagna?”. Ovviamente a patto di essere stati chissà dove finora e di non aver letto l’emendamento né la legge 194, quella sull’aborto volontario. Che è una legge che si intitola Norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza.

L’emendamento dello scandalo dice di aggiungere: “(Norme in materia di servizi consultoriali). 1. Le regioni organizzano i servizi consultoriali nell’ambito della Missione 6 e possono avvalersi, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, anche del coinvolgimento di soggetti del Terzo settore che abbiano una qualificata esperienza nel sostegno alla maternità”. La legge 194 dice che “i consultori sulla base di appositi regolamenti o convenzioni possono avvalersi, per i fini previsti dalla legge, della collaborazione volontaria di idonee formazioni sociali di base e di associazioni del volontariato, che possono anche aiutare la maternità difficile dopo la nascita” (articolo 2).

La differenza più rilevante sembra essere il passaggio organizzativo alle Regioni (e non sappiamo come e chi vigilerà e non sappiamo se a scegliere sarà qualcuno di competente o un ossessionato; ma questo non lo sappiamo mai e ha più a che fare con l’applicazione che con il principio). Ma i guai più seri sono altri: il disinteresse nel rafforzare i consultori e la loro sempre più frequente riduzione, nelle discussioni e nella realtà, a luoghi in cui abortire o farsi fare certificati per abortire.

È un vero peccato perché i consultori hanno finalità molto più varie e complesse. Sono nati con una idea rivoluzionaria di prevenzione e di rete territoriale, che però è stata tradita e dimenticata per mancanza di soldi e di intenzione politica. Dovrebbero essere 1 per 20mila cittadini e sono 1 per 35mila (lo dice una indagine dell’Istituto superiore di sanità di alcuni anni fa, perché non sia mai che uno voglia avere dati aggiornati e in tempo reale).

Non sappiamo poi com’è davvero applicata la 194 perché abbiamo dati vecchi e chiusi e non per singola struttura; non sappiamo se l’aborto medico è sempre disponibile e in che regime, se vogliamo finalmente applicare ovunque le linee di indirizzo ministeriali del 2000 (e cioè se è possibile nei consultori e nei poliambulatori e se è garantita la procedura ambulatoriale, con il primo farmaco dato nella struttura sanitaria e l’autosomministrazione a casa del secondo farmaco). Mentre in Finlandia, in Svezia e in Norvegia gli aborti farmacologici sono oltre il 90%, qui in Italia siamo intorno al 45% e con profonde differenza regionali (che conosciamo solo come medie regionali però, quindi ci servono a poco).

In pochi ricordano l’articolo 5, soprattutto quelli che difendono la 194 come la legge migliore del mondo (non lo è): “Il consultorio e la struttura socio-sanitaria, oltre a dover garantire i necessari accertamenti medici, hanno il compito in ogni caso, e specialmente quando la richiesta di interruzione della gravidanza sia motivata dall’incidenza delle condizioni economiche, o sociali, o familiari sulla salute della gestante, di esaminare con la donna e con il padre del concepito, ove la donna lo consenta, nel rispetto della dignità e della riservatezza della donna e della persona indicata come padre del concepito, le possibili soluzioni dei problemi proposti, di aiutarla a rimuovere le cause che la porterebbero alla interruzione della gravidanza, di metterla in grado di far valere i suoi diritti di lavoratrice e di madre, di promuovere ogni opportuno intervento atto a sostenere la donna, offrendole tutti gli aiuti necessari sia durante la gravidanza sia dopo il parto”.

La legge 194 è una legge mediocre che andrebbe cambiata. Ma nel mondo reale sarebbe già un ottimo risultato sapere se e com’è applicata, organizzare meglio le strutture e la rete territoriale, evitare vecchie e rischiose procedure (come il raschiamento). Se vogliamo davvero applicare la legge, applichiamola tutta, quindi anche quella parte di articolo 9 che dice che “gli enti ospedalieri e le case di cura autorizzate sono tenuti in ogni caso ad assicurare” il servizio di interruzione della gravidanza. E per farlo ci servono i dati, non rassicurazioni ministeriali né fantasmi complottisti.

Sul fatto di rimuovere le cause materiali, potremmo e dovremmo essere tutti d’accordo. A patto che non ci siano informazioni e intenzioni scorrette. Ovviamente non ci sono solo quelle ragioni materiali per abortire, e su questo è ovvio che il conflitto tra conservatori e liberali sia insanabile. Perché se credi che abortire sia omicidio non sono possibili compromessi e ha ragione Incoronata Boccia a dire che l’aborto è un delitto, perché è l’unica conseguenza coerente se la premessa è che l’embrione è una persona come noi.

Ma poi, a cosa serve ProVita se abbiamo Eugenia Roccella che chiama la RU486 kill pill?