«L’aborto non è mai giusto e non è un diritto, è una soluzione pratica che vuole essere sublimata a diritto inalienabile. Anche nei casi più tragici, nei dilemmi morali più strazianti, come quelli di stupro, non è mai giusto. L’aborto, infatti, è diritto in senso lato quanto può esserlo quello di uccidere, di rubare, di ferire», scrivono Marco Malaguti e Maria Alessandra Varone nel numero di Biopoetica dello scorso dicembre intitolato Breve critica filosofica (con supporto tragico) all’aborto e all’eutanasia. Ne parliamo ora perché c’è stata una conferenza stampa il 23 gennaio alla Camera (moderati da non si sa chi, un giallo ancora in corso) dalla quale qualcuno ha tirato fuori questa cosa dello stupro e dell’aborto, assicurandoci una mezza giornata di commenti lunari e di slavina concettuale.

Malaguti e Varone hanno ragione ed è forse la cosa più razionale che hanno scritto. Ma, come spesso accade, le reazioni sono state immediate e scandalizzate e indignate e bufera e shock (scusate). Ha ragione Varone quando dice che la legge 194 andrebbe riscritta – temo per ragioni diverse dalle mie ma insomma. Ha ragione anche quando dice che spesso quando si parla di aborto si parla di due casi eccezionali: lo stupro, appunto, e quando c’è un rischio per la vita della donna. Ha ragione quando giudica un po’ superficiale lo slogan che il corpo è mio (perché quando parliamo di aborto dobbiamo almeno domandarci se esistono i diritti di qualcun altro, e non del proprietario del gamete maschile ma del nascituro). Ha ragione, infine, quando dice che una legge non è mica per forza giusta.

Ha ragione e ha tutto il diritto di pensarla così. Il guaio è la premessa, che è la premessa in genere adottata da chi condanna l’aborto volontario: l’embrione ha dei diritti fondamentali, è già una persona, eliminarlo equivale a un omicidio. Se l’aborto volontario è un omicidio come può essere legale, giusto e buono? Se accettate questa premessa non è facile rifiutare le implicazioni di Varone. Così come se pensate che l’aborto sia il male minore, una tragedia però necessaria, un delitto inevitabile e tutte le versioni che possiamo immaginare di un eterno incespicare tra posizioni difensive e sensi di colpa. Il guaio non è pensare che l’aborto sia un omicidio, il guaio è l’incapacità di rispondere senza abbassare la voce e lo sguardo e sbagliando bersaglio: l’aborto volontario è moralmente ammissibile e considerare una morula o un feto come una persona non ha senso e, soprattutto, non giustifica automaticamente l’inferenza di condanna (rileggere Judith Jarvis Thomson).

Se però credete che l’embrione sia una persona, il modo con cui ha cominciato a esistere non cambia il suo statuto. Non è complicato da capire eppure ogni volta ci ritroviamo qui, ogni volta che qualcuno dice che è più grave l’aborto dello stupro o di qualche altro reato meno grave dell’omicidio (ricordiamo, la premessa è che l’aborto è un omicidio e quindi è più grave di uno stupro). Invece di prendervela con la premessa, ve la prendete con le conseguenze (coerenti) di quella premessa.

Poi se aveste ascoltato qualche minuto vi sareste così divertiti che vi sarebbe passata la voglia di imbestialirvi (per le ragioni sbagliate poi). Dal “tramonto dei valori”, signoramia, alla perdita del senso del limite, dalla lista di filosofi buttati lì per far vedere che gli anni di studio non sono stati inutili, alla prospettiva poetica ed estetica quando si parla di aborto e di eutanasia (non ho ancora capito ma prometto di applicarmi) – d’altra parte il pdf di cui parlano si intitola “Biopoetica”. Dalla soluzione di Varone alla questione persona o non persona che mi pare bellissima («si risolve dicendo che viene da due genitori» ) al «non è che possiamo essere tutti eroi» (riferendosi alle donne che scelgono di non curarsi e di morire pur di portare avanti la gravidanza – e mi chiedo come convive questo con la condanna anche dell’eutanasia). Come darle torto?

Non sono riuscita ad arrivare fino alla fine perché è un po’ troppo teatro dell’assurdo o terza settimana di occupazione scolastica con tante parole auliche che mi devo fermare a cercare. Ma, come ho già detto, sono perfino più lunari i commenti dolenti. A leggerli senza aver ascoltato Malaguti e Varone sembrerebbe che qualcuno abbia eliminato la 194, imposto dei registri pubblici delle donne potenzialmente fertili (che bella idea, no?) ed eliminato tutti i punti IVG (cioè gli ospedali dove puoi abortire).

La 194 è una legge mediocre e applicata in modo fantasioso e misterioso, perché abbiamo dati vecchi e non aggiornati e quindi non lo sappiamo davvero. Siccome non abbiamo risorse infinite (ma certamente troppo tempo libero) sarebbe forse il caso di scegliere meglio dove indirizzarle. Certo, indignarsi dal divano di casa è abbastanza comodo ma serve solo a sentirsi migliori degli altri.

Quando finisco di scrivere Simone Billi ha detto che non era lì (a moderare chissà chi mentre il deputato leghista si è beccato gli insulti e molti “ma come ti sei permesso?”), che forse ha solo prenotato la sala e che si ritrova a dover rispondere a cose che non ha detto. È tutto bellissimo.