PHOTO
«La SLA ha perso, io ho vinto. Non trascorrerò nemmeno un minuto in più ad avere paura di ciò che può farmi. Da oggi esiste solo il presente, e ogni giorno è prezioso». Così Ada ha commentato la conferma di avere tutti i requisiti previsti per poter accedere al suicidio assistito da parte dell’azienda sanitaria Napoli 3.
La sua storia comincia da una diagnosi di sclerosi laterale amiotrofica a giugno 2024. I primi sintomi compaiono qualche mese prima: le parole si inceppano, il respiro fatica, i muscoli cedono. La malattia è veloce, velocissima. Oggi Ada non parla, non cammina, non può fare niente da sola. Da sola non può mangiare, non può bere, non può spostarsi dal letto alla sedia a rotelle. «In meno di 8 mesi la malattia mi ha consumata. Con una violenza fulminea mi ha tolto le mani, le gambe, la parola», aveva detto qualche giorno fa in un messaggio letto dalla sorella Celeste.
Lo scorso gennaio chiede alla sua azienda sanitaria di verificare i requisiti previsti dalla sentenza 242 del 2019 della Corte costituzionale, quella che ha dichiarato l’incostituzionalità dell’articolo 580 del codice penale nella parte in cui non esclude la punibilità di chi “agevola l’esecuzione del proposito di suicidio, autonomamente e liberamente formatosi, di una persona tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetta da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che ella reputa intollerabili, ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli, sempre che tali condizioni e le modalità di esecuzione siano state verificate da una struttura pubblica del servizio sanitario nazionale, previo parere del comitato etico territorialmente competente”.
L’azienda dovrebbe quindi verificare che la volontà di Ada è autonoma e libera, che soffre di una malattia irreversibile che le causa sofferenze intollerabili e che ha un trattamento di sostegno vitale (i confini interpretativi di questo trattamento sono stati poi chiariti da due altre sentenze, la 135 del 2024 e la 66 del 2025). Però l’azienda sanitaria rimanda, si distrae, non risponde. Il tempo, per le persone malate, è un tempo diverso. A marzo 2025 il suo collegio legale, coordinato da Filomena Gallo che è anche la segretaria dell’Associazione Luca Coscioni, diffida l’azienda sanitaria: deve immediatamente fare le verifiche e rispondere ad Ada.
Viene nominata una commissione medica e vengono fatte alcune visite domiciliari, ma la relazione e il parere del comitato etico non arrivano. Il 28 aprile il collegio legale fa un ennesimo sollecito. Due giorni dopo arriva la relazione ma non c’è il parere del comitato etico (che è obbligatorio seppure non vincolante) e la risposta è negativa: Ada non avrebbe i requisiti. Mancherebbe addirittura la volontà consapevole e libera perché Ada avrebbe manifestato volontà contraddittorie. E, sempre secondo la relazione, Ada non patirebbe sofferenze intollerabili.
Infine, Ada non avrebbe un trattamento di sostegno vitale, anche se le sentenze 135 e 66 hanno chiarito che l’interpretazione corretta di questo requisito deve comprendere anche l’assistenza (di cui Ada ha bisogno come tutte le persone immobili, non è difficile da immaginare).
A giugno il collegio legale si oppone e chiede di rivalutare le condizioni di Ada. Non succede niente. A questo punto viene presentato un ricorso d’urgenza. Finalmente, il 7 ottobre, l’azienda sanitaria manda ad Ada la conferma della nuova verifica: Ada ha tutti i requisiti. «Non ci sono parole adatte a descrivere il mio stato d’animo, ma proverò a rendere l’idea. Quando ho letto le parole “parere favorevole”, ho sentito letteralmente un peso scivolare dalle mie spalle».
Ora Ada può scegliere. Può scegliere di morire e può cambiare idea. Può rimandare, può aspettare. Ma lo farà con la tranquillità di non essere intrappolata in un incubo burocratico. È un suo diritto. Un diritto che è stato sospeso per mesi, in una attesa ingiusta e ingiustificabile. Ora l’azienda sanitaria dovrà indicare il farmaco e le modalità di autosomministrazione.
«Grazie a chi mi ha ascoltata, sostenuta e accompagnata in questo percorso».
Come dice Filomena Gallo, questo non è solo un parere favorevole, ma il riconoscimento di un diritto fondamentale. «Quando le istituzioni rispettano la legge, è possibile garantire alle persone malate un diritto che non è un privilegio, ma una scelta libera e consapevole, riconosciuta dal nostro ordinamento». E, aggiungo io, quando c’è una intenzione politica e la volontà (non proprio spontanea) di non trattarci come persone incapaci di decidere della nostra vita.