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Stavolta ci tocca dare ragione al Fatto Quotidiano: privacy e garantismo, nel caso Tramontano, sono andati a farsi benedire. Da giorni assistiamo infatti alla pubblicazione voyeuristica e dettagliata del delitto di Giulia e del bambino che portava in grembo, ad opera di un uomo che diceva di amarla. Una storia non nuova, purtroppo.
E da giorni leggiamo sui giornali, tutti ben sincronizzati, ogni particolare: le dichiarazioni della madre del presunto omicida, quelle «dell’altra» e gli sms scambiati nelle ore convulse che hanno preceduto e seguito il delitto; fino ad arrivare al modo con cui Alessandro Impagnatiello si aggiusta il cappellino specchiandosi dopo l’interrogatorio. Ogni dettaglio, ogni singola orribile immagine di una storia che ha scioccato tutti, senza alcuna distinzione, è finita in pasto all’opinione pubblica, senza aggiungere nulla all’orrore. Con un solo scopo: rendere ancora più odioso, più detestabile, un uomo che non ha alcun bisogno di aiuto per essere considerato malvagio.
Per fortuna non saremo noi a doverlo giudicare, non saranno i genitori, i familiari o gli amici di Giulia, né sarà Mara Venier o qualche altro opinionista a doverci dire come sono andate le cose. Saranno dei giudici, seguendo le regole dello Stato di diritto, che grazie al cielo non tengono conto del nostro disprezzo e della nostra mancanza di empatia. C’è da esserne grati e bisognerebbe essere terrorizzati dal tentativo di “mostrificare” un uomo che fino all’altro ieri era considerato perfettamente normale. Un’operazione di deumanizzazione che altro non è se non un tentativo di esorcizzare il rischio di poter diventare noi stessi dei mostri.
Un esorcismo di massa che passa attraverso la violazione delle regole del diritto, agevolato dalla pubblicazione di verbali assolutamente segreti e il tentativo di privare il mostro del diritto costituzionale di difendersi, il tutto in una fase ancora delicatissima delle indagini. Quel diluvio di dettagli ha favorito il processo parallelo celebrato ai tavolini dei bar, dove tra uno spritz e un caffè ognuno si sente autorizzato a disquisire di aggravanti e premeditazione.
“Ecco che i buonisti lo faranno uscire”; “non pagherà nulla”; “vedrete che sarà libero tra qualche anno”, si sente e si legge ovunque. Il tutto senza uno straccio di elemento che non sia quello sapientemente selezionato, imburrato e infornato, pronto da servire in pasto al lettore. Una violazione della deontologia, dunque, dove il diritto di cronaca viene sostituito dalle regole del mercato, dalla volontà di assecondare pancia e istinti peggiori, cannibalizzando ancora una volta il corpo di Giulia, che tutto questo spettacolo lo sta subendo senza poter più dire nulla.
Ci siamo abituati ai funerali in diretta, alle gente in manette davanti agli obiettivi, alle macchine fotografiche puntate con freddezza su un padre che piange sul corpo del figlio appena ritrovato. Ci siamo abituati a tutto. È il diritto di cronaca, risponderà chiunque si tenti di interpellare per problematizzare la questione. Che si trasforma in un problema che va ben oltre la deontologia: è proprio trasformando tutto in un film dell’orrore che smettiamo di interrogarci sulle ragioni che stanno dietro a delitti come questo. Ci anestetizziamo. E produciamo soltanto altre vittime.