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«La rivoluzione mangia i suoi figli » esclamò la girondina Charlotte Corday dopo aver pugnalato a morte l’artefice del Terrore Jean-Paul Marat. È il 1793 e in Francia la rivoluzione che spazzò via clero e nobiltà era diventata una guerra civile, delazione generalizzata, paranoia collettiva nel marasma dell’ «isteria giacobina» come scrisse qualche anno dopo Friedrich Engels per descrivere il cupio dissolvi e la deriva cannibale di quella straordinaria generazione di agitatori politici e di intellettuali.
Una parabola a cui sembrano destinati tutti i movimenti di improvvisa e violenta rottura, di ribaltamento sociale o di cambiamento culturale, come se il peso dell’antica oppressione restasse aggrappato alle sagome dei nuovi liberatori, finendo per schiacciarli, rendendoli troppo simili agli oppressori.
Non fa eccezione il #metoo, l’ondata di denunce che oltreoceano ha liberato la parola delle donne vittime di molestie e aggressioni sessuali: sul proprio posto di lavoro, per la strada, in famiglia, un po’ ovunque si è spezzato il muro del silenzio e della paura e si è scoperchiato il sessismo che governa le relazioni di potere tra uomini e donne.
L’epicentro è stata Hollywood, la Babilonia di celluloide e testosterone, la fabbrica dei sogni che al suo interno partorisce incubi reali, un mondo nascosto e patriarcale di sopraffazione, quasi a contrastare le luccicanti illusioni che riempiono gli schermi.
Il 5 ottobre del 2017 il New York Times pubblica un’inchiesta in cui diverse attrici americane affermano di aver ricevuto ripetute molestie e vere e proprie aggressioni da parte di Harvey Weinstein, il produttore più potente di Hollywood. Cinque giorni dopo tocca al New Yorker chiamare in causa Weinstein sempre per gli stessi poco nobili motivi. A denunciarlo una pletora di stelle del cinema, Ashley Judd, Rosanna Arquette e Rose McGowan, Jessica Mann, l’italiana Asia Argento che lo accusa di uno stupro avvenuto al festival di Cannes nel 1997.
L’attrice Alyssa Milano propone di condividere in rete le testimonianze di tutte le vittime di comportamenti sessisti invitando le donne di qualsiasi ambiente ed estrazione sociale a venire allo scoperto. Per farlo utilizza l’hashtag #metoo, presente su Twitter già da dieci anni.
L’effetto è dirompente, in ventiquattro ore l’hashtag produce oltre 12 milioni di interazioni. Parlano le donne dello spettacolo, ma anche dell’economia, parlano le sportive, le donne all’interno delle imprese e del mondo accademico, descrivendo le continue molestie, gli abusi, le discriminazioni quotidiane subite dai loro colleghi maschi. Ma i riflettori rimangono puntati soprattutto sul cinema e le sue star.
Di fronte alle prove schiaccianti della sua colpevolezza che mettono in luce il suo sistema predatorio di violenze e ricatti viene condannato 39 anni di prigione, il che significa che passerà il resto della vita dietro le sbarre. Una condanna che legittima il movimento ma anche tutti i suoi eccessi, come la distruzione della presunzione di innocenza. Ma anche la psicosi di massa che getta nel calderone dei sospetti figure che non hanno nulla a che vedere con il #metoo e le sue denunce, su tutti il cineasta Woddy Allen chiamato in causa senza alcun motivo per via delle accuse di pedofilia che anni prima gli aveva rivolto l’ex moglie Mia Farrow.
Ma il primo grande nome di questa deriva giustizialista è Kevin Spacey, tra gli attori più celebri e pagati del pianeta che all’epoca spopolava con la serie House of cards. Almeno tre ragazzi sostengono di aver avuto rapporti non consensuali con lui, di aver subito palpeggiamenti e molestie. L’effetto sulla carriera di Spaecey è immediato senza bisogno che ci sia un processo e un verdetto, ormai basta il sospetto: il regista Ridley Scott decide di cancellare tutte le scene con spacey in All the money in the World, mnetre Netflix straccia il contratto milionario eliminando lo da House of cards. Sei anni dopo Spacey è assolto da tutte le nove accuse di abusi sessuali, il calvario giudiziario è finito ma anche la sua carriera che mai potrà tornare ai fasti del passato.
La calunnia corale avanza, e uno dei casi più emblematici coinvolge Asia Argento, l’accusatrice di Weinstein è denunciata a sua volta dall’attore Jimmy Bennet che sostiene di essere stato violentato quando aveva 17 anni e lei 37. Con il consueto zelo Argento viene immediatamente esclusa dalla giuria di X Factor anche se poi le accuse contro di lei si rivelano inconsistenti e la vicenda termina con una causa per diffamazione nei confronti di Bennet.