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Nella foto (da sinistra verso destra) Gaetano Pecorella e Valerio Spigarelli
Nei giorni scorsi Gaetano Pecorella e Valerio Spigarelli su questo giornale hanno espresso idee agli antipodi per quel che riguarda Berlusconi e la Giustizia. Icona dell’idea liberale della Giustizia e fautore della separazione delle carriere per il primo, emblema dello scontro tra Politica e Magistratura ma non certo riformatore liberale per il secondo. Confronto, garbato quanto distante nelle conclusioni, per i due ex presidenti dell’Unione delle Camere Penali che ha un antecedente storico.
All’epoca della riforma Castelli, Pecorella, allora deputato di FI, attaccò pubblicamente l’Unione delle Camere Penali, in quel momento guidata da Ettore Randazzo e di cui Spigarelli era segretario nazionale, che contro quel progetto di legge si batteva a colpi di astensioni dalle udienze. Con un articolo pubblicato con richiamo in prima pagina dal Corriere della Sera, il professore milanese difese la cd “separazione delle funzioni” prevista dalla Castelli esprimendosi “contro la separazione delle carriere”, definendo i penalisti “trappisti” per il loro accanimento al proposito. Successivamente, dalle pagine del Riformista di allora, aggiunse che ' la separazione delle carriere” era “un falso mito, uno slogan privo di contenuti, cui anche i penalisti si aggrappano in un eccesso di ideologismo”, bollando come “sgradevole” un appello agli avvocati parlamentari a favore della separazione delle carriere pubblicato da Randazzo. Nello stesso periodo inviò una lettera a tutti i presidenti delle Camere Penali per invitarli a contestare la linea politica della Unione.
La reazione dell’allora dirigenza dell’associazione dei penalisti italiani non si fece attendere e fu piuttosto dura. Fu proprio Spigarelli a rispondere, sul sito dell’associazione, rammentando le parole pronunciate da Pecorella in un congresso dell’Unione di alcuni anni prima, quando aveva invitato i penalisti a battersi sempre per la separazione “senza tentennamenti, senza compromessi, e senza affidamenti di credibilità a soluzioni che sembrino cambiare tutto, in realtà per non cambiare nulla”. Ironizzando sull’epiteto (Trappisti) e sui richiami letterari, l’allora segretario respinse al mittente le accuse, specificando che i penalisti avevano “proposto quel che anche lui sosteneva quando si fingeva trappista …”, finendo col dare del “Gesuita” all’illustre predecessore. Scintille da avvocati, poi rientrate già all’epoca del congresso di Bari, quando Pecorella ammise che l’iniziativa di scrivere ai presidenti delle Camere Penali – che peraltro sostennero Randazzo all’unanimità – non era stata delle più felici e tornò ad essere un entusiasta sostenitore della separazione delle carriere.