Mario Draghi ha fatto un altro passo in avanti verso Bruxelles col discorso molto atteso del presidente francese Emmanuel Macron alla Sorbona sull’Europa. Della cui prossima Commissione, o del cui prossimo Consiglio l’ex premier italiano, ma anche ex presidente della Banca Centrale europea, potrebbe essere chiamato alla guida se dopo le elezioni del 9 giugno il capo dello Stato francese riuscirà a trovare le convergenze necessarie, come fece cinque anni fa per la tedesca Ursula von der Leyen. Alla conferma della quale, per quanto ricandidata dal Partito Popolare, Macron non è favorevole.

Per quanto unito nelle citazioni a due altri italiani, l’ex premier - pure lui - Enrico Letta e il compianto Antonio Gramsci per via delle sue tentazioni fra l’ottimismo della volontà e il pessimismo della ragione, il Draghi ricordato e condiviso da Macron per la proposta riforma radicale dell’Unione europea è di fatto un candidato ancora più incombente ad uno dei vertici comunitari.

È curioso tuttavia che le maggiori difficoltà per l’ex premier rischino di arrivare proprio dall’Italia. Dove non gli sono mancati un elogio incoraggiante del presidente del Senato Ignazio La Russa e un’attenzione non ostile della premier in carica, pur a livello “filosofico”, ma si è levato quasi perentorio un sostanziale altolà di Antonio Tajani.

Che si è pronunciato nella triplice veste di vice presidente del Partito Popolare - di cui ha rivendicato la prenotazione di una postazione di vertice per una sua presumibile primazia elettorale - vice presidente del Consiglio e segretario di Forza Italia.

Ma potrebbe nascondersi o delinearsi anche una quarta veste, nonostante esclusa a parole dall’interessato in questo momento prematuro, mancando più di un mese al rinnovo del Parlamento europeo: la veste di candidato pure lui al posto di un Draghi non iscritto ad alcun partito.

Sempre che proprio questo non finisca per diventare un vantaggio per l’ex premier italiano nell’ottica dell’Eliseo.