Entro il 14 gennaio 2024 l’Agcom dovrà stabilire le modalità che i gestori di siti Internet che offrono immagini e video a contenuto pornografico in Italia saranno tenuti ad adottare per accertare che gli utenti abbiano più di 18 anni, pena multe salate fino all’oscuramento del sito.

L’obbligo, sinora passato in secondo piano nel dibattito pubblico, è stato aggiunto dall’esecutivo all’ultimo minuto nel maxiemendamento su cui è stata posta la fiducia in sede di conversione del decreto Caivano. Secondo il governo, l’accesso dei minori di 18 anni al porno online, a prescindere dalla loro effettiva età, minerebbe il rispetto della loro dignità e ne comprometterebbe il benessere fisico e mentale, costituendo – letteralmente – “un problema di salute pubblica”.

Già criticato da giuristi e educatori per via dell’introdotta possibilità di inviare alcuni minori nelle carceri per adulti, il decreto Caivano è destinato ad accendere un nuovo dibattito sull’opportunità di intervento dello Stato rispetto a scelte personali e familiari che incidono sulle libertà individuali e di autonomia familiare nelle decisioni che riguardano l'intimità dei cittadini.

Si tratta di un divieto assoluto di accesso dei minori di 18 anni alla pornografia online che travolge, peraltro, alcune misure volte alla autodeterminazione familiare, già in vigore da metà novembre 2023, quando Agcom ha obbligato le telco a rendere disponibili nelle proprie offerte l’attivazione di sistemi di parental control di filtro dei contenuti non adatti ai minori (non soltanto pornografici, ma anche relativi all’odio online, al gioco d’azzardo, e altro). Un divieto che omette di considerare, inoltre, le problematiche connesse alla tutela della riservatezza e al possibile effetto indesiderato del reindirizzamento del traffico dei minori verso contenuti sessualmente espliciti e violenti sul dark web.

Nessuno nega, naturalmente, che vi possa essere la necessità di regolare la pornografia online. Tuttavia, la complessità della protezione dei minori in rete, i rischi per la protezione dei dati personali di alcune categorie e il crescente desiderio di autodeterminazione familiare rispetto ad alcuni temi, richiederebbero forse una riflessione ampia, estesa all’industria del porno e al sistema educativo, istituzionale e non. Ciò è tanto più vero nel momento in cui la censura governativa intende sostituirsi al ruolo delle famiglie e riguarda persino giovani a ridosso della maggiore età, comprensibilmente più interessati al mondo del sesso, ed anche capaci di individuare strade alternative per l’accesso a tali contenuti.

L’introduzione di un simile obbligo in Louisiana, Stati Uniti, ad inizio di quest’anno, ha infatti dimostrato come l’adozione di sistemi di age verification non impatti in alcun modo l’interesse o il livello di consumo di contenuti per adulti da parte dei minori. D’altro lato, invece, l’adozione di un sistema rigido di verifica dell’identità, per lo più se esportato verso altre tipologie di servizi come i social network, può alterare radicalmente Internet inducendo le piattaforme più popolari a restringere la propria offerta, come hanno commentato alcuni esperti al New York Times.

Restringere l’accesso alla pornografia online attraverso sistemi di verifica dell’età, come quelli di stima dell’età del volto con un selfie o tramite identità digitale, sembrerebbe inoltre portare gli utenti verso ambienti potenzialmente pericolosi, come il dark web o altri canali su messaggistica istantanea, privi di linee guida editoriali o sistemi di segnalazione di contenuti illeciti (pedopornografici, di prostituzione minorile, di violenza di gruppo e altro), che invece sono assicurati sulle più grandi piattaforme online del porno.

Ma non è l’unico rischio. Si pongono dei rischi considerevoli anche per la protezione dei dati personali, per chi deciderà di accedere comunque previa verifica dell’età. Il ricorso ai sistemi di identità digitale in simili contesti, infatti, oltre ad agire quali deterrenti all’accesso a monte e non inefficaci perché aggirati con VPN o strumenti simili, pongono dei rischi considerevoli in caso di hackeraggio dei dati. È evidente che in gioco ci sono dati sensibili quali l’orientamento sessuale o l’appartenenza a gruppi più vulnerabili della comunità LGTB+, oltre ai rischi di tracciabilità e profilazione. Si tratta di temi su cui, certamente, interverrà il garante privacy, chiamato a rendere un parere ad Agcom prima dell’adozione delle misure tecniche, ma sui quali, per il momento, vige un assoluto silenzio.

Negli ultimi anni la politica si è più volte occupata della tutela dei minori sulla scia del dibattito alimentato dalle notizie di cronaca, senza coinvolgere il sistema educativo e di tutela sociale, istituzionale o meno. In questo caso, oltre all’industria del settore, alla riservatezza e all’Internet sicuro, è a rischio anche la credibilità di un paese che si avvicina al G7 con l’ambizione di poter incidere su temi come l’intelligenza artificiale e il connesso regime di responsabilità, che richiedono capacità di ascolto e di analisi, non solo di temi legati alla tecnica, ma anche all’etica e alle istanze dei cittadini. Se è vero che a volte la toppa può esser peggio del buco, forse non è ancora il momento di adottare uno SPID per il porno online.