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Il carcere di Bollate, Milano, 26 maggio 2020. ANSA/MATTEO CORNER
Il 9 e il 10 febbraio si terrà l’inaugurazione dell’anno giudiziario dei penalisti italiani. Un evento voluto dall’Unione delle Camere Penali, previsto a Roma al Teatro Eliseo. Il tradizionale appuntamento, lontano dai formali rituali di esposizione di dati, cifre e numeri sull’andamento della Giustizia in Italia, é da sempre un’occasione di confronto con tutte le componenti del mondo del diritto. Il titolo dell’evento “Il processo come ostacolo. Il carcere come destino. Difendere le garanzie dell’imputato e la dignità del condannato secondo Costituzione”, rende immediatamente chiara e ribadisce, ancora una volta, la volontà dell’Ucpi di prospettare e di vedere poi concretizzate le necessarie riforme, non più rinviabili dinanzi ad un sistema processuale in coma da tempo e per il quale non si vedono reali possibilità di cambiamento, lasciando inalterate le garanzie del diritto di difesa.
Ancora una volta, come per molte altre iniziative nazionali, il carcere viene posto al centro del dibattito, a dimostrazione della particolare sensibilità dei penalisti in tema di libertà personale. Circostanza affatto scontata, in quanto una detenzione fuori dai canoni della legalità, dovrebbe spaventare l’opinione pubblica e rendere l’intervento del difensore ancora più importante, per scongiurare il pericolo di essere condannati ad una pena che oltre alla privazione della libertà, offende la dignità della persona.
L’Avvocatura resta, pertanto, nonostante non abbia un interesse corporativo, l’unica componente del mondo giudiziario a portare costantemente avanti la battaglia in difesa dei diritti dei detenuti, secondo quanto previsto dalla Costituzione e dalle norme dell’Ordinamento Penitenziario. Ha creduto nel possibile cambiamento, partecipando attivamente agli Stati Generali dell' Esecuzione Penale e alle successive Commissioni Ministeriali, in quanto la volontà di una riforma del sistema era prevista dalla delega del Parlamento al Governo, a seguito della condanna dell’Italia da parte della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo per il trattamento disumano e degradante subito dai detenuti nei nostri istituti di pena. Ma dopo anni di lavoro, nulla é stato realizzato e la Riforma dell’Ordinamento Penitenziario, già scritta e pronta per essere attuata, giace nei cassetti del Ministero. Nonostante l’aggravarsi quotidiano dell’esecuzione penale, con il numero di decessi e suicidi tra i detenuti che non accenna a diminuire, con migliaia di atti di autolesionismo, con tossicodipendenti chiusi in celle senza alcuna cura adeguata, a nessuno al Ministero della Giustizia é venuto in mente di aprire quei cassetti e dare una lettura alla Riforma. Una sbirciatina almeno, tanto per comprendere che i temi affrontati sono quelli indicati dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, che allineerebbero finalmente la detenzione ai nostri principi costituzionali. L’applicazione maggiore delle misure (pene) alternative, l’incremento dei rapporti con i familiari nel rispetto del diritto all’affettività che non può essere negato, l’istruzione, il lavoro, il soggiorno in stanze con servizi igienici adeguati, un servizio sanitario effettivo, sono solo alcuni dei temi che potrebbero trasformare le nostre carceri in quello che dovrebbero essere: luoghi in cui scontare la pena della privazione della libertà, ma propedeutici a migliorare l’essere umano, per prepararlo adeguatamente a quel giorno in cui tornerà alla vita sociale. Di tale percorso beneficerà non solo l’interessato, ma l’intera comunità che vedrebbe diminuire il pericolo di un ritorno a delinquere dell’ex detenuto. Il trattamento oggi riservato alla maggior parte dei reclusi, invece, prevede l’abbrutimento totale della persona, la cui dignità non merita alcun rispetto e non vi é alcuna attività che prepari al momento del ritorno in libertà. La conseguenza di questo scellerato comportamento é quella che la persona non potrà fare altro che tornare ai precedenti schemi di vita, probabilmente arricchiti da quanto appreso in carcere, non dalle istituzioni ma dai compagni di cella. Una recidiva quasi obbligata, in mancanza di percorsi alternativi offerti dallo Stato.
Il ministro della Giustizia ha più volte ribadito la necessità di un cambiamento, offrendo però soluzioni che non diminuirebbero il numero dei detenuti, ma a suo avviso inciderebbero sul sovraffollamento, con la costruzione di nuovi spazi detentivi e il riutilizzo di caserme dismesse. Eppure Egli non può ignorare la mancanza di risorse finanziarie ed umane necessarie alla realizzazione di tale programma ed il tempo necessario per realizzarlo, mentre in carcere si continua a morire. La soluzione non è costruire nuove strutture, ma modificare il sistema carcerocentrico che, contrario ai principi costituzionali, non porta alcun beneficio al Paese.
Ci auguriamo che tra i tanti Magistrati fuori ruolo che affollano la dirigenza del Ministero della Giustizia, qualcuno apra quei cassetti e legga la Riforma dell’Ordinamento Penitenziario. Avrà certamente gli strumenti tecnici per comprenderne l’importanza senza farsi condizionare da una Politica che mira solo al consenso popolare a breve termine. Potrebbe farsi portavoce dell’immediata necessità di applicare la Riforma, coinvolgendo l’intera Magistratura, che si schiererebbe al fianco dell’Avvocatura per una battaglia di civiltà giuridica. Ma tutto ciò, alla stato, é fantascienza.