Importiamo spesso le cose più sceme e più inutili dagli altri paesi. Ma l’America è lontana, dall’altra parte della Luna, e quindi per fortuna non siamo ancora il Texas che da qualche anno vieta di abortire quando è possibile percepire il battito, cioè intorno a 6 settimane, cioè quando spesso manco ti sei accorta di essere incinta.

Ma c’è questa proposta di legge promossa da molte associazioni conservatrici (i prolife, che non distinguono tra vita e diritti – poi ci torno – e quindi fondano tutte le loro campagne sulla identificazione tra essere umano e persona, sull’immediato conferimento del diritto alla vita per la semplice appartenenza alla nostre specie).

La proposta di legge non si spinge fino al divieto – forse è meglio non dare idee – ma vuole solo aggiungere un comma all’articolo 14 della legge 194 sulla interruzione volontaria della gravidanza, il comma 1- bis: “Il medico che effettua la visita che precede l’interruzione volontaria di gravidanza ai sensi della presente legge, è obbligato a far vedere, tramite esami strumentali, alla donna intenzionata ad abortire, il nascituro che porta nel grembo e a farle ascoltare il battito cardiaco dello stesso”.

Non penso che le parole abbiano il potere di cambiare la realtà ma senza dubbio parlare di nascituro (i geni dall’altra parte della Luna lo chiamano unborn child) e non di embrione o feto è un indizio semantico ricorrente e chiaro: quello lì nascerà, deve nascere, e se non lo fai nascere sei un po’ un mostro. Ricordo che oltre il 90% degli aborti volontari si fanno entro il primo trimestre (i dati vengono dall’ultima relazione ministeriale sull’applicazione della 194 dello scorso ottobre), e quindi nelle prime fasi dello sviluppo umano e quando quell’organismo non ha le sembianze di un neonato, come spesso appare nell’iconografia prolife.

Ma le sembianze umane e l’appartenenza alla nostra specie sono sufficienti per vietare o scoraggiare l’aborto? È sempre la solita domanda quando parliamo di aborto volontario: è una scelta moralmente irreprensibile o è un omicidio? Cioè: quali sono i criteri per attribuire dei diritti a qualcuno? La posizione estrema conservatrice dice che non c’è essere umano che non sia anche persona, gli altri indicano alcuni criteri cognitivi e di sviluppo e quindi un momento in cui un essere umano diventa una persona e acquisisce i nostri stessi diritti.

Quel momento non è un momento esatto perché lo sviluppo umano è un processo continuo, ma qui ci basta ricordare che non basta avere un DNA umano per essere una persona – all’estremità opposta vale per la morte cerebrale, cioè quando si smette di essere persone (ma non esseri umani, non diventiamo coccodrilli se il nostro sistema nervoso centrale è irreversibilmente e totalmente distrutto). Il battito è un criterio sciocco e insensato, sia per vietare, sia se usato come un’arma ricattatoria da parte di chi considera l’aborto un atroce peccato e sogna che torni a essere reato. Ovviamente come giustificazione di un divieto è più grave, perché è più difficile difendersi da un divieto che dalle sciocchezze o dai tentativi di farci sentire in colpa. Intanto potrebbe anche essere utile sapere che la presenza del battito cardiaco non significa che ci sia un cuore formato, un cuore come il nostro. Quindi forse dovremmo usare altre parole o almeno ricordarci che usiamo la stessa per denotare cose diverse.

C’è però un altro problema, ed è che in questi mesi a quelle sciocchezze spesso è stato risposto con altre sciocchezze. La prima e ubiqua è la sofferenza necessaria e inconsolabile, con inevitabili ed eterni sensi di colpa (se non ti sei pentita e hai abortito lo stesso, nonostante le ecografie e il battito).

Quasi nessuno si salva da questa trappola da confessionale. Insomma, difendiamo la legge 194 ma non perdiamo mai l’occasione di ribadire questo dolore universale e perpetuo o di invocare i casi più tragici: lo stupro, la malattia, qualche altro disastro. È quasi sempre assente la volontà di non avere un figlio o di non averne un altro. Ovviamente non sto dicendo che non ci siano e non ci possano essere scelte conflittuali e dolorose, ma che ripetiamo stancamente sempre questa cosa del dolore per tutte le donne e che questa cosa non è vera. E soprattutto è la risposta sbagliata.

La risposta giusta ha a che fare con i diritti e con la realtà. Che l’embrione sia vivo e umano, ecco, non dovrebbe essere né scioccante né una novità. Cosa pensiamo di avere nella pancia, una barbie? Che il battito si possa sentire molto presto nemmeno. Io ho questa ossessione che mancare così sfacciatamente la realtà non faccia bene.

Poi rimane che l’obbligo di far vedere il nascituro e di far ascoltare il suo battito è un patetico tentativo di aggiungere colpa a un diritto già zoppicante e schiacciato dalla condanna morale. Ma se cominciassimo a non lasciare spazio alla colpa e al ricatto moralistico? Se smettessimo di parlare di dolore e dramma ogni volta che parliamo di aborto volontario? È solo una modesta proposta.