Ci mancavano solamente i predicatori fiscali, gli opinionisti omnibus travestiti da funzionari dell’Agenzia delle entrate. Hanno aspettato, quatti quatti, che Jannik Sinner vincesse il suo primo slam, che diventasse un’icona del nostro sport, per tirare fuori il ditino e impartire la lezione.

Come gli intercambiabili Aldo Cazzullo e Massimo Gramellini, firme di spicco del Corriere della sera, entrambi indignati dal fatto che Sinner, come centinaia di sportivi, abbia la residenza nel principato di Monaco dove si pagano molte meno tasse. Per Cazzullo «non è una valutazione sportiva ma morale», al punto da chiedersi: «Come può Sinner diventare l’orgoglio italiano se non paga le tasse nel suo paese?».

Ad onor del vero non è la prima volta che Cazzullo inciampa nell’argomento; già nel 2020 sdottoreggiò sulla moralità del tennista altoatesino e sulla sua residenza monegasca, sfoggiando perle di qualunquismo in purezza: «Trovo amaro che, nel momento in cui ci sono compatrioti che muoiono nel bagno di un ospedale, altri italiani si chiamino fuori dalla comunità, dicendoci in sostanza: arrangiatevi, io sto nel Principato di Monaco». Aggiungendo che lui non avrebbe più tifato per Sinner ma per Rafa Nadal «uno dei primi contribuenti di Spagna che lascerà nello sport un’impronta incomparabilmente più profonda». Qualcuno spieghi a Cazzullo che pur non vivendo a Montecarlo, Nadal ha la residenza alle Baleari dove l’aliquota ficale è la metà rispetto alla Spagna continentale. Dettagli che fanno la differenza.

Più passiva-aggressiva la posizione di Gramellini, che non amando fare il contropelo all’opinione pubblica, lancia la sua staffilata in modo ellittico, quasi a nascondere la mano: «Sinner in un altrove esentasse ha messo la residenza, è vero, come tanti del suo lignaggio e con il suo ingaggio. Non sono il suo commercialista, ma se riportasse la residenza in Italia, diventerebbe definitivamente il mio tipo preferito di italiano».

Sarà bene fare un po’ di chiarezza. Jannik Sinner in primo luogo non è un evasore fiscale e, spostando la residenza in Costa azzurra (15 tra i primo trenta tennisti del mondo vivono lì), non ha commesso nessun reato e nessuna irregolarità. Detto questo, le accuse di scarsa moralità non stanno in piedi proprio in rapporto all’attività svolta da Sinner che di fatto è in Italia per poche settimane l’anno, durante gli Internazionali di Roma, nel corso delle finals di Torino e per andare a trovare la famiglia. Tutto il resto del tempo è impegnato a girare il mondo: Australia, Stati uniti, Asia, Europa, Arabia, Sudamerica, la vita del tennista professionista è un continuo girovagare, un’esistenza apolide che per poco più di un decennio ruota tutta attorno allo sfibrante calendario della Atp. E disputando quasi tutti i tornei all’estero è all’estero che Sinner paga le sue tasse.

Non tutti sanno, e di certo non sembrano esserne a conoscenza Cazzullo e Gramellini, che i premi incassati per le vittorie o i passaggi di turno, in genere la maggior parte delle entrate di un tennista, sono tassati nel paese in cui si disputa il torneo, proprio come qualsiasi professionista italiano che vive e lavora in un paese straniero. E non si tratta di bruscolini. Vincendo gli open di Melbourne ha intascato circa due milioni di dollari, ma di quella cifra il 45% è versato nelle casse di Canberra. La tassazione agevolata del Principato si applica invece ai guadagni pubblicitari e ai diritti di immagine che ovviamente nel caso del lanciatissimo Sinner sono destinati a lievitare. È moralmente sbagliato? Non spetta certo a noi giudicare e tantomeno ai corsivisti del Correiere.