PHOTO
Un recente articolo di Daniele Zaccaria su questo giornale denuncia la mercificazione degli organi che da quasi un decennio ha luogo in Cina: un macabro commercio di oltre quattromila cadaveri. “Spesso – scrive Zaccaria - li hanno rubati, all’interno degli obitori, nelle agenzie di pompe funebri, nelle strutture per la cremazione dei corpi, persino nei cimiteri, a volte sono stati acquistati tramite medici e becchini compiacenti che li hanno smembrati alla bene e meglio”.
Questa drammatica denuncia ci ripropone la questione, discussa e non risolta, di sapere quale fondamento giuridico dare alla disposizione e all’appropriazione dei prodotti del corpo umano attraverso l’intermediario medico o scientifico. In Italia la possibilità di utilizzare corpi post mortem per finalità di studio, di ricerca e di formazione - benché non esplicitamente - risulta garantita dalla nostra Carta costituzionale che all’art. 9 promuove lo sviluppo della cultura e della ricerca scientifica e all’art. 32 la tutela della salute, come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività.
Come ebbe modo di osservare il Comitato Nazionale per la Bioetica ( 2013) questo destinare il corpo alla ricerca e/ o all’insegnamento deve rispettare alcuni principi: nell’indispensabile consenso consapevole e informato del donatore, che preveda anche la possibile presenza di un fiduciario; nel rifiuto del principio del silenzio- assenso che privilegia un atteggiamento proprietario da parte dello Stato; nella possibilità del donante di limitare la ricerca e la dissezioni ad alcune parti del corpo; nella garanzia che il corpo post mortem meriti sempre e comunque rispetto e vada trattato come tale in quanto esso richiama il valore della persona.
Le argomentazioni a favore della non patrimonialità e la non commerciabilità del corpo vengono tuttavia contestate da un gran numero di contro argomentazioni, soprattutto dai bioeticisti di tendenza liberal- utilitarista, basate su aspetti non solo pragmatici, ma anche teorici. È attraverso un rapporto proprietario, volontaristico, senza limiti con il proprio corpo, che si supera l’idea della sua integrità e disponibilità. Si sostiene che la concezione dell’indisponibilità assoluta del corpo umano non resiste alla realtà attuale, ai grandi progetti biotecnologici che riguardano la possibilità di utilizzare parti del corpo con finalità terapeutiche o di ricerca.
Anche la metafora del dono per questa corrente di pensiero non è esente da letture diverse. È con Marcel Mauss (Essai sur le don) che le scienze sociali tentano di ripensare una certa universalità dell’obbligo di donare. Le grandi religioni hanno ispirato l’idea che il dono è considerato morale qualora sia disinteressato.
La laicizzazione del dono ha permesso invece di estenderlo all’esterno, alimentando risorse aperte all’infinito in nome della solidarietà. Le tesi contrapposte, contrarie o favorevoli al mercato, condividono tuttavia almeno due posizioni. Affermano, in primo luogo, che occorre incoraggiare la donazione degli organi sia dopo il decesso, sia attraverso donatori viventi che possano contribuire al bene degli altri in una misura non dannosa per la propria salute.
Sono, in secondo luogo, d’accordo nel ricercare soluzioni che possano impedire o limitare il traffico clandestino di organi. Anche le posizioni più libertarie sono fortemente contrarie ad ipotesi di sfruttamento o intermediazione clandestine e criminali. Il traffico illegale di organi è una forma di tratta degli esseri umani, che costituisce un settore di attività di gruppi criminali organizzati, che concorrono a pratiche inammissibili, quali l’abuso e lo sfruttamento di persone vulnerabili e l’uso di violenze e minacce. Sotto il profilo legislativo si osserva che in Europa gli Stati membri hanno adottato misure diverse sotto il profilo soprattutto penale affinché questi atti siano puniti come reato.
Il Consiglio d’Europa nella Convenzione per la lotta contro la tratta degli esseri umani ( n. 197/ 2005) raccomanda da un lato la necessità che legislature nazionali prevedano sanzioni anche di carattere penale e dall’altro la promozione di una più specifica regolamentazione giuridica internazionale contro il traffico strictu sensu considerato, così da individuarne i presupposti e le condotte che lo caratterizzano e lo definiscono. Come altri Paesi europei, anche l’Italia, sebbene regolamenti diverse fattispecie relative al trapianto di organi, presenta un ridotto apparato sanzionatorio in merito al traffico clandestino degli organi.
Le due principali normative ( legge 1967, n. 458 sul trapianto del rene tra persone viventi e legge 1999, n. 91 sul prelievo di organi tessuti da cadavere) prevedono sanzioni esclusivamente a carico di chi svolge attività di mediazione e dell’operatore sanitario che si avvale di organi, frutto di commercio, ma nessuna pena è prevista nei confronti di altre persone direttamente o indirettamente coinvolte nell’illecito traffico, compreso il ricevente.
Sebbene, allora, l’idea di una regolamentazione sia difficile da realizzare nelle realtà sociali e mediche di molte parti del mondo, almeno in Europa si potrebbe prevedere una regolamentazione giuridica, internazionale e nazionale, con l’introduzione anche di fattispecie penali, mirate a definire il traffico di organi, a prevenirlo, a fare rispettare il principio che il corpo umano e le sue parti sono realmente fuori dal commercio.
Ben diversa è l’analisi giuridica del potere di disporre del vivente, come le cellule, i gameti, i tessuti e organi diversi. Un’analisi che deve muovere innanzitutto dal significato giuridico d’attribuire al diritto di ciascuno di noi di disporre di se stesso. L’espressione diritto di disporre di se stesso può avere come referente il potere di disporre del proprio corpo sia dopo la morte che in vita ( disposizione di organi o di cellule).