Insinuazioni, sospetti, l’idea di fondo che esista un sistema con a capo gli ex neofascisti, alcuni ex detenuti terroristi neri, che attraverso le loro cooperative condizionano le scelte della magistratura di sorveglianza per la concessione o meno delle misure alternative alla detenzione. E associazioni lontane anni luce dal neofascismo come “Nessuno Tocchi Caino” o i membri storici dell’associazione “Antigone” come il garante regionale Stefano Anastasìa, usate come strumento per favorire questo sistema. È l’ennesimo teorema di Report, la trasmissione di Rai3 in prima serata.

Lo fa insinuando sospetti a persone integerrime, che credono nel loro lavoro per far rispettare i diritti durante l’esecuzione penale e che si sono battute contro le torture che avvengono nella Patrie Galere. Persone con un curriculum di tutto rispetto come l’avvocata Simona Filippi, “rea” di aver difeso l’ex senatore Marcello Dell’Utri per chiedere una misura alternativa per gravi motivi di salute. Non fu poi scarcerato per istanza dell’avvocata, ma per autonoma iniziativa della stessa magistratura di sorveglianza visto che, di fatto, l’ex senatore si è dovuto operare non a uno, ma a ben tre tumori. E pensare che la stessa Filippi, per conto di “Antigone”, difende soprattutto gli extracomunitari, i senza fissa dimora, tossicodipendenti. Gli ultimi di questa terra.

Ma bisogna costruire il teorema, basato ovviamente sul nulla e soprattutto ben sapendo che la stragrande maggioranza dei telespettatori è a digiuno del tema della detenzione, del lavoro fondamentale del terzo settore come appunto le cooperative che fanno lavorare i detenuti, il discorso della figura del garante e della magistratura di sorveglianza. E allora c’è gioco facile per creare un filo apparentemente logico. Ad esempio Report ripesca una dichiarazione del garante regionale del Lazio Stefano Anastasìa a favore della misura alternativa per Dell’Utri (evitando di dire che all’epoca c’era un dibattito pubblico sull’argomento e quindi, forse addirittura da Il Dubbio stesso o Radio Radicale, è stato intervistato per un parere) e poi lo collegano al fatto che “stranamente” in quello stesso periodo il suo ufficio ha assunto l’avvocata Filippi come consulente. Avvocata che difendeva all’epoca Dell’Utri per la questione detentiva.

Basterebbe leggere il suo curriculum pubblico, e si scoprirebbe che forse è una delle rare persone che hanno una sterminata competenza per quanto riguarda l’esecuzione penale. E un giornalismo serio, avrebbe dovuto rendere noto il lavoro svolto durante la sua consulenza. Ad esempio grazie alle visite effettuate al carcere di Viterbo si è potuto scoprire l’orrore che accadeva dietro quelle mura. Ma di tutto questo, nel servizio di Report non vi è traccia.

Ma per unire puntini inesistenti, rende noto che esistono cooperative che fanno lavorare i detenuti gestiti da ex terroristi neri. Per esempio, Report cita l’ex Nar, Luigi Ciavardini e la moglie, Germana De Angelis, che è presidente del “Gruppo Idee Aps”. Che cos’è? Una cooperativa che ha per finalità sociali la reintegrazione nella società delle persone detenute. E qui l’affare si fa grosso. Hanno svelato corruzione, sfruttamento della manodopera, gestione sospetta, tangenti? No, lo scandalo è che ci sono persone, provenienti dalla terribile lotta armata degli anni 70 e 80, le quali – finito di pagare per i propri errori - hanno deciso di guadagnare i soldi onestamente con il recupero dei detenuti.

Uno scandalo vedere persone che, in gioventù, militavano nell’estrema destra e hanno commesso reati legati al fanatismo ideologico (così come, d’altronde, persone della lotta armata dell’estrema sinistra e alcuni di loro hanno creato cooperative simili), stanno mettendo in pratica l’articolo 27 della Costituzione nata dall’antifascismo. E addirittura è scandaloso che usufruiscano della cosiddetta legge Smuraglia, che prende il nome dell’ex partigiano recentemente morto. Dovrebbe essere un esempio virtuoso, e invece Report lancia il sospetto. Forse sarebbe stato meglio che si fossero dati alla delinquenza?

Ma le “ombre nere” e quelle “mafiose”, seguendo la narrazione distorta di Report, trovano il loro anello di congiunzione nell’associazione “Nessuno Tocchi Caino”. Lo scandalo è che Rita Bernardini ha visitato le carceri assieme a dei membri di Casapound. Così “indicibile”, tanto da renderlo noto come di consueto. Basterebbe seguire Radio Radicale. Ma si insinua il sospetto. Come diavolo si può concepire una associazione che mette in pratica, da tempo immemore, il pensiero radicale che consiste nell’accogliere chiunque voglia lottare per i diritti umani e per la difesa dello Stato di Diritto? Lo “scandalo” radicale è proprio questo. E forse, in nome della difesa dei sacri principi della costituzione, dovremmo esserne grati. Se persone di estrema destra vengono coinvolti per la difesa dei diritti dei detenuti, è tutto di guadagnato.

Pensiamo a Sergio D’Elia, uno dei fondatori di “Nessuno Tocchi Caino”. Un uomo che è l’esempio vivente di come si possa passare dalla violenza (nel suo caso ideologica) alla non violenza, attraverso lo strumento del Diritto. D’altronde la stessa associazione è un macro laboratorio dove persone che hanno avuto trascorsi diversi, anche ideologicamente contrapposti, convivono e lottano per i principi umanitari. C’è, come detto, D’Elia, il quale ha un passato di sinistra extraparlamentare, ma anche Francesca Mambro e Valerio Fioravanti, provenienti dall’organizzazione dell’estrema destra Nar.

E l’altro scandalo che Report ha scoperto solo ora? Nel direttivo di qualche anno fa ci sono stati ben sette ergastolani ostativi, i protagonisti del docufilm “Spes contra spem” di Ambrogio Crespi. Un film che era stato presentato al Festival del Cinema di Venezia e alla Festa del Cinema di Roma, alla presenza dell’allora ministro della Giustizia Andrea Orlando. In quel film sono loro, i carcerati, i “senza speranza” a raccontarsi. Report poi narra la stranezza che solo negli ultimi anni, l’associazione radicale, si sarebbe occupata dell’ergastolo ostativo e 41 bis. E ciò dimostra una ignoranza abissale. Le prime battaglie contro il carcere speciale la fecero proprio loro. Basti pensare al primo libro bianco contro il 41 bis a firma dello stesso D’Elia e Maurizio Turco, l’attuale presidente del Partito Radicale.

Così come, non è una novità che nel partito si iscrivano anche detenuti mafiosi. Marco Pannella fece già “scandalo” quando si recò al carcere di Palermo per dare la tessera del Partito Radicale a Michele Greco, il “papa della mafia”. Parliamo di 40 anni fa. Oppure, e siamo al 1987, lo “scandalo” di Giuseppe Piromalli. Parliamo dello spietato boss della ‘ndrangheta che da ergastolano si tesserò, ed era il periodo della campagna per il tesseramento finalizzato alla salvezza del Partito Radicale. Ecco cosa disse Marco Pannella in quella occasione: «Penso piuttosto che proprio Piromalli, non quello “trionfante” libero e potente, ma quello sconfitto e ormai inerme abbia voluto essere “anche” radicale, “anche” nonviolento, lasciare magari ai suoi nipoti, a chi comunque crede, ha creduto in lui, questo segnale. Sta di fatto che egli ha voluto concorrere a “salvare” il Partito Radicale. Se avesse avuto ancora da conquistare, contrattare, salvare “potere”, allora avrebbe avuto contatti con tutti, tranne che con noi».

E cosa fa Report? Non trovando nessun caso di cronaca, pesca l’unico evento avvenuto nell'arco di oltre mezzo secolo di battaglie nonviolente radicali. Il caso di Antonello Nicosia, arrestato con l’accusa di associazione mafiosa, che si iscrisse ai radicali italiani e approfittò delle visite in carcere per millantare credibilità di fronte a detenuti dentro per mafia. La stessa Rita Bernardini, vedendo come si comportava in maniera non professionale, aveva interrotto i rapporti. D’altronde anche il giudice che ha convalidato l’arresto, ha ben distinto la sua posizione da quella dei radicali che si battono legittimamente per la tutela dei dritti umani. Ma tutto questo Report (forse) non lo sa.