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C’è un'ambiguità drammatica che attraversa il movimento “pro-Palestina” che in questi giorni ha mobilitato le piazze occidentali; è una contraddizione insanabile, forse inevitabile: ed è rappresentata da Hamas. Chi oggi - scioccato e angosciato come tutti noi dalle immagini di morte che arrivano da Gaza - scende in piazza con la bandiera della Palestina sulle spalle, lo fa rimuovendo più o meno consapevolmente la presenza di Hamas dal tavolo di “gioco”. Quasi che quell’attore non sia in campo, che non abbia un ruolo e un obiettivo ben preciso: eliminare israele e gli ebrei presenti in Medioriente.
Questa rimozione ha un duplice effetto. Da un lato permette a costoro di non condividere la battaglia di Hamas: “come potete accusarmi di assecondare la lotta di un soggetto politico che ho rimosso dal mio orizzonte?” Ma, nello stesso tempo, proprio in virtù di quella stessa rimozione, lascia che la liberazione della Palestina finisca nelle mani di un gruppo terroristico che altri non è se non una costola dei fratelli musulmani.
Ma se è così, se tutto è in mano ad Hamas, allora possiamo star certi che non sarà mai vera liberazione. La Palestina che hanno in mente quegli uomini è l’Islam della sharia e della teocrazia iraniana, la cui polizia morale in questi mesi sta assassinando le giovani donne che osano uscire di casa senza velo e che ieri l’altro ha picchiato e arrestato Nasrin Soutodeh, l’avvocata dei diritti umani. E’ il fondamentalismo che condanna a morte e impicca gli omosessuali, che teorizza, predica e programma la distruzione di Israele. Come fa a essere liberazione tutto questo?
Nel corteo di Roma c’è addirittura chi ha esplicitato questa sovrapposizione tra Hamas e Palestina, chi è convinto che il massacro del 7 ottobre - donne, uomini, bambini trucidati e rapiti - sia il segno del riscatto palestinese. “Il 7 ottobre il popolo palestinese ha ricordato al mondo di esistere, ha dimostrato che sono ancora i popoli a scrivere la storia”, era scritto nel comunicato condiviso da numerose associazioni che sabato sono scese in piazza. Ma non sono certo loro il problema: chi ha scritto quel comunicato forse vuole quella Palestina, aspira a una società patriarcale e violenta. E predica l’eliminazione di Israele. Senza alcuna ambiguità.
L’equivoco, per così dire, sta invece sulle spalle di chi rimuove tutto questo, finge di non vedere, semplifica un conflitto che ormai è un groviglio della storia e la cui comprensione sta nella complessità e non nella semplificazione che traccia una linea e divide i buoni dai cattivi in modo manicheo. Insomma, non è certo questa la via per la pace e per il legittimo riscatto del popolo palestinese.
Ma attenzione, che non vi sia alcuna ambiguità neanche dall’altra parte. Più e più volte abbiamo scritto - e lo ribadiamo - che il diritto internazionale è chiarissimo: non c’è alcuna ragione che possa sostenere quel che oggi Israele sta facendo in Palestina, nessuna cosa che giustifichi un bombardamento indiscriminato per scovare qualche centinaio di terroristi. Ma oggi, qui, il punto è un altro, ovvero la consapevolezza che l'egemonia della battaglia di liberazione della Palestina è nelle mani di un gruppo di criminali. Un punto di partenza per capire che lasciarli nelle loro mani non ha nulla a che vedere con la liberazione di un popolo e molto con l’oppressione.